Weigler Carlotta (Lotte)
Weigler Carlotta in un'immagine datata 15/12/1970, proprietà di Antonio Tallarini, Urbania.
Famigliari compresenti: maritoConiugato/a con: Szantò Giuseppe
In Italia a: Trieste
In Italia da: /
Percorso di internamento: Urbania (PS), dove viene arrestata il 3/12/’43. In carcere a Urbino dal 3/12/'43 al 18/3/'44. Scarcerata, viene internata a Urbania finché non si dà alla fuga.
Ultima località o campo rinvenuti: Urbania (PS)
Deportato: no
Ucciso in Italia: no
Dopo la fuga e/o la liberazione a: Trieste
Fonti:
ASP; CS; ASCU; Talla; GCER.
Presente fasc. in ASP: sì
Profilo biografico:
Il suo fascicolo presso l’Archivio di Stato di Pesaro è alla lettera S di Szantò.
Lei e il marito Giuseppe Szantò quando il 3 dicembre '43 vengono arrestati dai carabinieri di Urbania (PS) risultano “sfollati” al pari della famiglia Ancona e sono distinti dagli internati Hes Giuseppe, Timan Joseph, Helmann Ralph e Levi Salomone di Michon. Vengono tradotti nelle carceri di Urbino (PS).
Pochi giorni dopo l’incarcerazione, Carlotta chiede di poter vedere una volta alla settimana il marito, pure recluso. Nella lettera si dichiara italiana. In effetti gli Szantò vivevano a Trieste, non sappiamo da quale data.
Il 14 dicembre, i nomi di Carlotta Weigler e del marito Giuseppe sono associati a quelli di altre detenute, in quel momento nelle carceri di Pesaro. Si tratta di Rita Cesana in Ancona, di Lea Rosembaum in Amsterdamer, di Richta Salka in Amsterdam, di Eugenia Hammerschmit in Lewin e di Coen Gemma, quest’ultima residente a Urbino. Per Szantò e sua moglie, oltre che per tutte le altre donne, il questore, che scrive alla direzione della prigione stessa, autorizza “un colloquio controllato una volta alla settimana ai soli congiunti degli ebrei in carcere” (ASP, fasc. Margherita Cesana).
Poiché gli internati nominati, ben riconoscibili nonostante gli errori di grafia, furono incarcerati a Urbino, si presume una presenza temporanea a Pesaro per visita medica, come registrato in altri casi.
La relazione di amicizia tra Weigler Szantò Carlotta (Lotte) e Rita Cesana in Ancona si manterrà anche dopo la guerra attraverso una corrispondenza in cui si fa riferimento ad alcune delle persone nominate, future vittime della strage di Forlì. A tale proposito, lo studioso G. Caravita è caduto in equivoco circa l’incontro tra questi prigionieri, collocandolo nelle carceri di Forlì poco prima dell'esecuzione, e non in periodi di reclusione precedenti.
Nel febbraio ’44 Carlotta richiede per sé la visita medica, in seguito alla quale viene giudicata non idonea al campo di concentramento. Sul foglio di scarcerazione, che porta la data del 18 marzo '44, si dice che la reclusa, di professione casalinga e con cultura "superiore", durante i tre mesi e mezzo di detenzione ha tenuto condotta "ottima". E’ stata munita di foglio di via obbligatorio “con ingiunzione di presentarsi nel termine di giorni uno" all'autorità di P.S. di Urbania.
Una volta scarcerata, Carlotta presenta richiesta di liberazione del marito.
Sottoposto a visita medica, il mese seguente egli viene giudicato idoneo al campo di concentramento ma necessario per assistere la moglie, pertanto viene liberato. I due coniugi si ricongiungono in internamento a Urbania, finchè non si danno alla fuga ma non per andare lontano.
Si inserisce qui la testimonianza di un cittadino di Urbania, Antonio Tallarini. Egli ricorda che i suoi genitori nascosero in casa propria i coniugi Szantò che in precedenza vivevano presso il barbiere Stanislao Frattini, e fu proprio quest’ultimo a indirizzarli da loro. Vincenzo Tallarini e sua moglie Seconda avevano una casa colonica fuori del paese, sulla dorsale collinare: il podere Montanara. Carlotta parlava il tedesco perfettamente, pertanto quando dei militari germanici si presentavano da quelle parti li intratteneva fingendo di essere una sfollata del Nord, mentre suo marito restava sempre nascosto.
Giuseppe e Carlotta rimasero da loro fino alla liberazione del territorio e mantennero contatti anche dopo la guerra, scambiandosi delle visite. I due internati non avevano figli ed erano tornati a vivere a Trieste dove conducevano una fabbrica di linoleum. La famiglia marchigiana che li salvò riceveva spesso notizie, compresa una fotografia di Carlotta datata 1970.
Per il presunto legame degli Szantò con Lazzaro Werczler durante la permanenza a Urbania, si veda la scheda di quest'ultimo.