Rapporto con i partigiani

 

Tra gli internati  in Provincia di Pesaro si contano diversi partigiani che operarono nel territorio stesso o in ambito più largo. In altri casi il rapporto con i “ribelli” locali emerge indirettamente.

Sicuramente attivi nell’Appennino marchigiano risultano essere i seguenti internati ebrei:

Particolare interesse rivestono alcune testimonianze scritte. Tra queste ricordiamo:

  • Il diario di Giuseppe Levi, che operò come capo partigiano nel Lazio, pubblicato con il titolo Guerriglia nei castelli romani,
  • Il diario di Albert Alcalay, partigiano  in Jugoslavia prima di essere internato in Italia. L’opera è pubblicata in inglese con il titolo The persistence of hope,
  • Il diario di Leopoldo Verbovsek, attivo nel territorio di Apecchio, Piobbico, Cagli, Cantiano, Acqualagna.

Una memoria sul contributo di Giuseppe Levi alla lotta partigiana laziale viene espressa nel 2016, nell’ambito di un incontro con gli autori, da due testimoni di Marino (Roma).

  • La prima testimonianza è quella di Edmondo Del Gobbo, del ’26, residente in frazione Fontana Sala di Marino. La lapide posta sulla facciata della sua casa ricorda che tra quelle mura fu accolto Antonio Gramsci in fuga dai fascisti dopo il varo delle leggi speciali del ’26. Il padre di Edmondo, Aurelio, autodidatta, imparò a leggere a 13 anni quando faceva il pastore. Era attivista del PCI e amico di Gramsci. Padre e figlio fecero parte della Resistenza laziale nell’area dei Castelli, pur continuando la loro attività di muratori anche nel periodo bellico. Edmondo ricorda con precisione l’arrivo di Giuseppe Levi a casa loro nell’autunno del ’43. Proveniva da Tor Paluzzo di Genzano distante pochi chilometri, dove si era rifugiato nella tenuta della famiglia Paris. Si fermò a lungo presso i Del Gobbo, dimorando in un loro capanno tra i canneti, posto sul retro dell’abitazione, che all’epoca era isolata nella campagna, mentre oggi è circondata da numerosi edifici. Di giorno Levi restava nascosto, come del resto gli altri partigiani e soldati disertori che vivevano presso la famiglia Del Gobbo e che partecipavano alle azioni di guerriglia. Edmondo riconosceva in Giuseppe Levi la stoffa del capo, oltre a vedere in lui grande determinazione e una smania febbrile quando impugnava un’arma. Edmondo affiancava Levi quando si rifornirono di armi a spese di una villetta occupata da militari tedeschi nei pressi di Frattocchie (Albano). Mentre ci conduce al viadotto del Ponte sette luci, così com’è stato ricostruito, il testimone ricorda che nell’attentato funse da artificiere Ferruccio Trombetti, militare romagnolo, mentre Marco Moscati, pure ebreo, non partecipò a questa ma ad altre azioni con Giuseppe Levi.
  •   La seconda testimonianza è di Maria Trovalusci, di Marcaurelio, nata nel ’34. La famiglia viveva a Marino. Il padre minatore lavorava nelle locali cave di pietra lavica (peperino) ed entrò ben presto nella Resistenza laziale in area Castelli. Nelle occasioni ritenute politicamente delicate, come il passaggio di Mussolini, Marcaurelio veniva incarcerato preventivamente dalle autorità fasciste. Anche la madre conobbe Regina Coeli in sostituzione del marito assente. Oltre all’attentato al Ponte Sette Luci, Maria ricorda quello al ponte ferroviario sulla tratta Roma /Cassino avvenuto nella stessa notte in cui saltò in aria l’altro, tra il 20 e il 21 dicembre ’43. Suo padre partecipa come artificiere alla seconda azione citata, che comporta la distruzione di materiale bellico germanico trasportato via ferrovia. Maria era bambina ma ricorda perfettamente che in casa venivano preparati e custoditi i chiodi a tre punte utilizzati per bucare le gomme dei mezzi di trasporto nemici. Inoltre ricorda che l’esplosivo veniva nascosto sotto le granaglie.

 

  • La memoria scritta di Leopold Verbovsek fa riferimento ad altri ebrei internati che diventano partigiani come J. Schkolnik  e ad ebrei non internati come l’anconetano Mario e il tedesco Max. Quest’ultimo è da identificarsi con Max Federmann, il quale da Nonantola (Mo) dov’era vissuto con gli altri “ragazzi di Villa Emma”, raggiunse le Marche e si unì ai partigiani. In seguito, ammalatosi gravemente, Max fu aiutato dalla famiglia Alessandri di Cagli la quale per l’aiuto prestato a numerosi ebrei e ad altri perseguitati, sarà riconosciuta “giusta tra le nazioni”.
  • Leopold Verbovsek  dirige l’assalto al carcere mandamentale di Cagli nel marzo ’44, con conseguente evasione  di alcuni ebrei. L’azione è  in collegamento con Samuele Panichi e la sua famiglia.
  • Per tale coraggiosa impresa si vedano le schede dei fratelli Ciril Weiss e  Alfons Weiss, di G. Gottesmann, di Grom Milan, di G. Schkolnik, di E. Weisz/Bianchi e dei coniugi J.Goldberg/Amgyfel.
  • Un altro episodio narrato nel diario di Verbovsek  ha attinenza con ulteriori casi di internati. Nel luglio del ’44, quando il territorio appenninico della Provincia di Pesaro è gremito di soldati tedeschi e di militi della RSI (Legione Tagliamento), il suo gruppo si trova sul Monte “Vicino” nei dintorni di Apecchio. Qui, oltre a schivare due caccia inglesi che volano sulle loro teste e una pattuglia di fascisti mimetizzati da garibaldini che hanno già appostato la mitragliatrice, s’imbattono in un uomo. Così scrive Poldo: “Passato il crinale è sbucato dalle ginestre un prete che si è tolto la tonaca per correre meglio.” In seguito si saprà che la tonaca apparteneva a don Augusto Giombini di Pieve dei Graticcioli, che stava fuggendo dai fascisti. Nel frattempo l’abito talare servirà all’anconetano  Mario, già ricordato, che trova così un ottimo espediente per mimetizzarsi tra i cristiani.
  • La stessa pieve  fu un rifugio per diversi ebrei internati a Sant’Angelo in Vado, seppure con esito non sempre  felice. A tale proposito si vedano le schede di J. Lewsztein, E. Dewidels e dei coniugi Pacht.  
  • Augusto Giombini di Settimio, nato a Città di Castello (PG) nel 1912, sarà dichiarato partigiano combattente nella seduta del 14 agosto 1946 dell’ANPI di Pesaro, con un servizio come gregario dal 1/12/’43 al 27/8/’44 (Archivio ANPI).