Le disposizioni razziali prevedono misure anche nei confronti degli ebrei stranieri, o apolidi, entrati in Italia posteriormente al 1°gennaio ’19, i quali vanno allontanati dal Regno entro e non oltre il 12 marzo del ‘39. Se non ottemperano a tale obbligo nel termine prescritto, sono puniti prima con l’arresto fino a tre mesi – o l’ammenda fino a lire 5.000 – poi con l’espulsione dal Regno.
Un caso particolare è quello degli ebrei “fiumani” che nel 1924 con il Trattato di Roma sono transitati dal Regno d’Ungheria al Regno d’Italia. Essi non si considerano affatto stranieri, bensì parte della nazione italiana, ma ora il riconoscimento viene negato.
Nella totalità dei casi il provvedimento di espulsione riguarda circa 9.500 persone presenti per ragioni di studio, di lavoro o di turismo al momento del censimento razziale dell’agosto ‘38. Fra queste, numerosi i cittadini tedeschi e austriaci che hanno abbandonato il Reich dopo l’approvazione delle leggi naziste del ’35 e che, pur accolti in territorio italiano, vengono costantemente seguiti nei loro spostamenti dalle forze dell’ordine e segnalati al ministero dell’Interno. Con telegramma-circolare ai prefetti del 12/9/’38, quest’ultimo invita a tenere scrupolosamente aggiornati elenchi ebrei stranieri. Si calcola che siano circa 8.000 i tedeschi che raggiungono l’Italia e fra questi, 1.005 verranno internati nel nostro Paese. Dopo l’Anschluss del marzo 1938, per gli ebrei austriaci ormai soggetti alla legge tedesca, la strada è la stessa. Sono 5.000 quelli che transitano o si fermano in Italia, e di questi, 1.168 saranno internati.
Fra il ‘38 e il ’39, quando anche Cecoslovacchia e Polonia vengono occupate dalla Germania, il movimento dei profughi ebrei si intensifica. Analoga la situazione in Romania e in Ungheria, prima che inizino le campagne di vero e proprio sterminio sul posto. Da questi quattro paesi provengono complessivamente 2.583 persone che saranno internate.
Seguiranno poi altri ebrei provenienti dall’area balcanica (Jugoslavia, Grecia e Bulgaria) che, a partire dal 1941, viene investita dal problema e vedrà internati in Italia 3.241 ebrei.
Fino al 1938 il Governo fascista concede visti d’ingresso senza discriminazione di religione o di “razza”, e dopo lo scoppio della guerra continua a concederne, ma solo per il transito verso Palestina, Usa o Africa (specie Etiopia o Madagascar). Spesso però il transito diventa residenza in quanto non sempre è possibile imbarcarsi per altri lidi, oppure, una volta giunti in un nuovo paese si viene respinti, caso presente anche in Provincia di Pesaro. A causa di queste difficoltà, diversi ebrei stranieri protrassero oltre i limiti la permanenza in Italia in un’attesa vana e snervante, seguiti passo passo dalla polizia fino al momento dell’arresto.
Significativi del clima sono i “biglietti urgenti di servizio” che i questori inviano ai podestà loro sottoposti. Ne trascriviamo un brano trasmesso da quello di Pesaro, Di Salvia, in data 2/5/’39: sia preso nota all’atto della dichiarazione di soggiorno, dei cittadini tedeschi muniti di passaporto contrassegnato con la lettera J, inviando mensilmente a questo ufficio l’elenco nominativo e gli estremi del passaporto, e ciò per poter controllare i loro movimenti.
L’appartenenza degli ebrei tedeschi e austriaci a nazione amica non era dunque considerata fattore rilevante, contava molto di più, e insieme inquietava, la loro presunta diversità razziale. A renderli fortemente sospetti era poi l’idea che avessero lasciato il loro paese imbevuti d’odio per i regimi totalitari. Così, subito dopo l’entrata in guerra dell’Italia, il Capo della polizia, A. Bocchini, ordinerà l’arresto anche degli ebrei stranieri appartenenti a stati che fanno politica razziale. Tuttavia, a dispetto della vigilanza oculata, alla data del 12 marzo ‘39, termine ultimo per il loro allontanamento dal suolo italiano, ne risultavano ancora presenti fra partenze e nuovi ingressi circa 6.000, destinati ad aumentare ulteriormente di numero dopo l’annessione dei territori jugoslavi a partire dalla primavera del ‘41.
L. Picciotto, K. Voigt e A. Pizzuti.