La legislazione razziale nell’Europa Centro-Orientale e nei Balcani

Molto si è scritto in merito alla legislazione antisemita voluta e introdotta da Hitler, meno nota invece la politica razziale adottata nei paesi dell’Europa Centro-Orientale e balcanica, area dalla quale proviene la maggioranza degli ebrei internati in Italia. Pertanto, dopo il riferimento alla Germania e all’Austria, ne diamo un cenno sommario distinto per paese, secondo la carta geo-politica dell’epoca. Per questa parte abbiamo consultato la ricerca curata da A. Cappelli e R. Broggini.
 
Germania

Di qui sono scaturiti i provvedimenti razziali la cui applicazione seminerà morte e orrore in Europa. Nell’aprile del 1933, subito dopo la presa del potere, il Governo nazista emana le prime norme discriminatorie, con l’esclusione di funzionari e impiegati ebrei dai pubblici uffici. A partire da questa data e fino al ‘38 è un susseguirsi di misure persecutorie che rendono esecutivi i principi già enunciati da Hitler nel Mein Kampf. L’imperativo categorico è quello di proteggere il sangue e l’onore tedesco, come recitano esplicitamente le Leggi di Norimberga del ‘35, e anzitutto vengono proibiti i matrimoni fra ebrei e ariani. I passi successivi sono la revoca della cittadinanza e il ritiro del passaporto a tutti coloro che non hanno sangue tedesco. In un crescendo parossistico vengono espulsi gli ufficiali ebrei dall’esercito ed è limitata la presenza ebraica in alcune professioni come quella di medico e di avvocato; viene negato loro l’accesso alle scuole pubbliche e alle università, nonché ai cinematografi, ai teatri e agli impianti sportivi; sono vietati il piccolo commercio e l’artigianato; le imprese di maggiori dimensioni condotte da ebrei sono costrette al fallimento per mancanza di ordinazioni e per l’eccessiva pressione fiscale.

Ben presto gli alti vertici del partito nazista giudicano incompatibile la presenza di israeliti con quella degli ariani nei territori del Reich e, mentre in un primo tempo Hitler e accoliti congetturano su una deportazione in massa verso il Madagascar, successivamente, rivelatasi questa strada impraticabile, si orientano verso la “soluzione finale”, con gli esiti agghiaccianti tristemente noti.
 
Austria

Nel paese vive una fiorente comunità ebraica stimata intorno alle 200.000 persone. Gran parte di esse risiede a Vienna, considerata nei primi del Novecento uno dei centri culturali più vivaci dell’intera Europa anche grazie a prestigiosi intellettuali di origine ebraica quali S. Freud, G. Mahler e K. Kraus. Tuttavia, a partire dagli anni venti si diffonde una crescente ondata di antisemitismo e quando nel ‘38 il Paese viene annesso al Reich vengono applicate le leggi razziste in vigore in Germania. Numerosi ebrei, si calcola più di centomila, riescono a fuggire e di questi alcune migliaia transitano attraverso l’Italia. Allo scoppio della guerra, una parte di queste persone in fuga, è internata nella penisola.
 
Bulgaria

Nel Paese fino al 1940 non sono vigenti disposizioni di legge discriminatorie per ragioni di razza e di religione. Nel corso della guerra il Governo bulgaro, allettato dalla promessa del Führer di poter recuperare i territori perduti alla fine del precedente conflitto mondiale, si allea con la Germania. E’ per questo motivo, più che per vero antisemitismo, che nel 1941 vengono approvate leggi fortemente lesive dei diritti dei cittadini di religione ebraica. Sulla base di tali norme, qualora si allontanino dal paese essi sono passibili della perdita della cittadinanza e dei beni, inoltre incontrano forti limitazioni nell’accesso ai pubblici uffici e alle libere professioni. Accade però che in un soprassalto di orgoglio nazionale il Governo e il sovrano infine si rifiutino di accondiscendere alla richiesta dei nazisti in merito alla deportazione.
 
Cecoslovacchia

Nel marzo del 1939, dopo l’annessione dei Sudeti, Hitler occupa l’intera Cecoslovacchia costituendo nella parte occidentale il Protettorato di Boemia e Moravia, in cui impone l’adozione di una legislazione razzista. Resta relativamente indipendente la Repubblica di Slovacchia con un suo Governo. Questo è guidato dal sacerdote filonazista Josef Tiso che però è chiaramente manovrato da Berlino. Interpretando lo spirito antisemita di buona parte della popolazione, egli adotta subito una serie di misure che estromettono gli ebrei dai pubblici uffici, li spogliano progressivamente dei loro beni e li escludono dalla vita economica. Nel marzo del ’42 vengono autorizzate le deportazioni verso i lager polacchi.
 
Grecia

Dopo l’occupazione del territorio da parte delle truppe dell’Asse nel 1941, l’alleato germanico inizia le vessazioni contro gli ebrei in un Paese fino a quel momento esente da sentimenti antisemiti; poi passerà alla deportazione. Diverso il comportamento del personale diplomatico e dell’esercito italiani i quali non senza disaccordi e contraddizioni cercano di ostacolare le direttive naziste nei territori da loro direttamente controllati. Va segnalata in particolare l’azione del console italiano a Salonicco, Guelfo Zamboni, che si oppone alla deportazione dei numerosi ebrei italiani residenti nella città. Pertanto, in un quadro desolante di massiccio rastrellamento, riesce a salvare un gruppo di perseguitati meritando il riconoscimento di giusto tra le nazioni.
 
Jugoslavia

Alla fine della Prima Guerra Mondiale, quando viene costituito il Regno di Jugoslavia, non è presente nei territori governati dalla dinastia dei Karageorgevich un antisemitismo esplicito e organizzato ai danni dei circa 70.000 ebrei residenti. Tuttavia non mancano fenomeni di insofferenza nei loro confronti perché sospettati, soprattutto gli askenaziti, di scarso attaccamento allo Stato. Alla fine degli anni Venti il re Alessandro promulga la Legge sulle comunità ebraiche che cancella le norme introdotte ai danni degli ebrei. In seguito, con l’occupazione del Regno da parte delle truppe dell’Asse, queste ultime adottano direttamente misure persecutorie nelle regioni passate sotto il loro controllo. La Croazia, che mantiene un’indipendenza formale con il governo filo-nazista di Ante Pavelic, applica i provvedimenti più feroci nei confronti degli ebrei.
 
Polonia

L’antisemitismo in Polonia ha radici antiche e benché la Costituzione del 1921 riconosca l’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e proibisca le discriminazioni religiose, non vengono abrogate disposizioni legislative precedenti che di fatto rendono arduo per i cittadini ebrei ottenere finanziamenti dalle banche o accedere ai pubblici impieghi. Nel 1923 è introdotto il numero chiuso nelle Università e nel 1937 si dispone che nelle aule scolastiche i banchi degli alunni ebrei siano separati da quelli degli studenti cristiani. Con l’occupazione tedesca del ‘39, la perdita dei diritti e le vessazioni diventano persecuzione per lo sterminio.
 
Romania

Nel Paese l’antisemitismo è presente anche prima della Seconda Guerra Mondiale, poi da parte del Governo viene rincarata la dose: nel 1927 si introducono limitazioni per l’iscrizione degli studenti ebrei alle scuole superiori e si vieta l’esercizio di alcune professioni; nel ‘38 è revocata la cittadinanza agli ebrei. L’alleanza con Hitler nel giugno del ’41 rende la situazione drammatica perché ora sono gli stessi connazionali, in formazioni quali la Guardia di Ferro, a infierire sulla componente ebraica, con un accanimento ancora maggiore di quello messo in atto dai nazisti.
 
Ungheria

Qui l’antisemitismo è presente da tempo. Nel 1920 il Governo introduce il numero chiuso per gli studenti ebrei che intendono accedere all’Università; nel ‘38 limita al 20% la loro presenza nei settori professionali; nel ‘39 vieta loro tutte le libere professioni; nel ‘41, dopo l’adozione di provvedimenti ancora più restrittivi, dà il via alla deportazione verso i campi di sterminio e alle esecuzioni in massa sul territorio nazionale servendosi delle Croci Frecciate, corpo paramilitare ricordato per la sua ferocia.
A. Cappelli e R. Broggini.