La misura dell’internamento è regolata da due circolari ministeriali, la n.442/37214 del 27/5/1940 e la n. 442/38954 del 1° giugno 1940. Per molti aspetti simile al confino di polizia, ha lo scopo di allontanare dalla famiglia e dai luoghi di residenza e di lavoro abituali, i cittadini considerati pericolosi per gli interessi della nazione, questo a partire dal giugno 1940. Il Governo Mussolini mette a punto due modalità di segregazione, una che si concretizza nei campi di concentramento, oltre cinquanta, l’altra in una rete di piccoli comuni sparsi per la penisola, circa quattrocento. I primi possono essere edifici di una qualche capienza come ex caserme, alberghi o colonie, oppure spazi recintati e sorvegliati con rudimentali baracche per l’alloggio. I comuni, ubicati in gran parte nelle regioni centro-meridionali almeno fino al 1943, vengono scelti tra quelli isolati e prevalentemente collinari, con un presidio di carabinieri per la sorveglianza. Molti di coloro che subirono la segregazione saranno incarcerati, deportati e uccisi nei campi di sterminio nazisti, come risulta dal Libro della memoria, di Liliana Picciotto.
I dati sui cittadini di religione ebraica italiani e stranieri, internati e deportati, si ricavano dalla ricerca menzionata e da quelle di Spartaco Capogreco e Anna Pizzuti, con i tristi resoconti delle vittime. Si fornisce di seguito un riepilogo quantitativo.
A qualche mese dall’inizio delle operazioni belliche, dei circa 4.200 civili stranieri detenuti, 2.412 sono ebrei di varie nazionalità: tedeschi, austriaci, polacchi, ungheresi e cecoslovacchi; gli altri (francesi, inglesi etc.), appartengono a nazione ostile. Numerosi gli apolidi, così definiti perché in seguito ai provvedimenti razziali e/o all’occupazione da parte delle truppe tedesche hanno perduto la nazionalità. Successivamente si aggiungeranno i prigionieri di guerra slavi (fra cui numerosi ebrei), francesi e inglesi. Alla fine del ’42 gli ebrei stranieri internati salgono a 5.636 unità, di cui 2.139 nei campi e 3.497 nei Comuni.
Secondo A. Pizzuti gli ebrei stranieri internati a ondate successive nel territorio italiano fino al termine del conflitto, ammonterebbero a 9444 unità.
Rispetto alla cifra totale menzionata, al termine del conflitto tra gli ebrei stranieri si contarono 2.444 deportati, con 1.954 vittime e 490 sopravvissuti ai lager.
Relativamente agli ebrei italiani internati dal giugno ’40 al luglio ’43, S. Capogreco parla di circa 400 persone. Se confrontiamo il dato con quello dei 4.148 deportati tra gli ebrei italiani (più 214 ignoti) emerge con drammatica evidenza che la maggior parte di essi venne arrestata tra i semplici cittadini non internati. La cattura e la deportazione avvennero durante il periodo della Repubblica di Salò. In totale 3.836 italiani furono uccisi nei Lager (più 179 ignoti) e solo 312 (più 35 ignoti) tornarono a casa. In definitiva, con i provvedimenti adottati nelle convulse battute finali di una guerra già perduta, il fascismo si rese responsabile della deportazione dall’Italia di 6.806 ebrei. Fra tutti costoro solo 837 si salvarono.