La regione Marche viene considerata dai funzionari del Regime tra le più idonee all’internamento, data la conformazione prevalentemente montuosa del territorio e la difficoltà delle comunicazioni. Le sue quattro province (Pesaro, Ancona, Macerata, Ascoli Piceno) fanno parte assieme a quella di Perugia della Seconda zona – una delle cinque in cui è suddivisa l’Italia degli internati – e vengono assegnate alla vigilanza dell’ispettore Francesco Ciancaglini.
Secondo le indicazioni governative, i campi e i comuni prescelti dovevano essere ubicati nelle zone più interne delle rispettive province, lontani da centri industriali, aeroporti, zone militari e dalle principali vie di comunicazione. Andavano perciò escluse le località marittime. Quest’ultimo divieto non impedirà comunque alla prefettura di Pesaro di collocare internati anche sulla costa quando i comuni dell’interno risulteranno sovraffollati per la fuga dei cittadini dai litorali a causa dei bombardamenti alleati. Significativa la raccomandazione al prefetto, da parte di un ispettore ministeriale, di non individuare località troppo vicine alla via Flaminia dove il Duce era solito transitare in auto ritornando a Predappio da Roma.
La gestione dell’internamento nei comuni era affidata al Podestà, coadiuvato dal locale distaccamento dei carabinieri, mentre quella dei campi era assegnata solitamente a un funzionario di pubblica sicurezza che si serviva di agenti e carabinieri per la sorveglianza. Quando il campo ospitava prigionieri di guerra come a Monte Urano, Servigliano e Sforzacosta, dipendeva direttamente dall’autorità militare e veniva gestito da un colonnello dell’esercito.
Entro i confini regionali verranno allestiti 10 campi di concentramento e scelti 85 comuni per l’internamento, come descritto di seguito. Il numero e l’ubicazione dei campi di concentramento marchigiani sono certi, permangono discordanze fra i ricercatori sulle località d’internamento, non essendo state completate le verifiche negli archivi dei singoli comuni. I dati che riportiamo riguardano dunque in buona parte le località segnalate dai prefetti come adatte all’internamento, ma non è detto che le stesse abbiano accolto realmente persone da internare. Nella provincia da noi considerata non risulta infatti al momento che i comuni di Colbordolo e San Costanzo abbiano ospitato internati ebrei, mentre in quest’ultimo comune si riscontra la presenza di non ebrei.
A) Ancona
Campi: Fabriano, Sassoferrato e Senigallia.
Comuni (15) di: Ancona, Arcevia, Castelleone di Suasa, Cupramontana, Fabriano, Loreto, Maiolati Spontini, Montemarciano, Numana, Osimo, Santa Maria Nuova, Sassoferrato, Senigallia, Serra de’ Conti, Serra San Quirico.
B) Ascoli Piceno
Campi: Fermo/Monte Urano e Servigliano.
Comuni (21) di: Ascoli-frazione Marino del Tronto, Acquasanta, Arquata, Castignano, Falerone, Force, Maltignano, Montalto Marche, Montegallo, Montegiorgio, Monterubbiano, Monte San Pietrangeli, Monte Urano, Montottone, Offida, Petritoli, Porto San Giorgio, San Benedetto del Tronto, Santa Vittoria in Matenano, Servigliano, Venarotta.
C) Macerata
Campi: Petriolo, Pollenza, Sforzacosta, Treia, Urbisaglia.
Comuni (23) di: Apiro, Appignano, Belforte del Chienti, Caldarola, Camerino, Castelraimondo, Corridonia, Esanatoglia, Fiastra, Fiuminata, Loro Piceno, Macerata, Mogliano, Penna San Giovanni, San Ginesio, San Severino Marche, Sant’Angelo in Pontano, Sarnano, Serravalle del Chienti, Tolentino, Treia, Urbisaglia, Ussita.
D) Pesaro
Campi: nessuno
Comuni (27): Apecchio, Borgopace, Cagli, Cantiano, Fano, Fermignano, Isola del Piano, Macerata Feltria, Mercatino Conca, Mondavio***, Mombaroccio, Pennabilli*, Pergola, Pesaro, Piandimeleto, Piobbico, Saltara, San Costanzo, San Leo*, Sant’Agata Feltria*, Sant’Angelo in Lizzola, Sant’Angelo in Vado, Sant’Ippolito, Sassocorvaro, Tavoleto, Urbania, Urbino. (***Per Mondavio non è ancora possibile stabilire se tra i numerosi internati ci fossero anche ebrei.)
Si fa notare che anche la città capoluogo, Pesaro, accolse internati i quali necessitavano di cure mediche particolari. Questa scelta contraddice la disposizione generale sull’internamento, che esclude le località costiere dalla rosa dei comuni idonei. Analoga eccezione si verifica per Fano. Inoltre risultano presenze, se pure di carattere eccezionale, anche nella città di Urbino, mai prevista ufficialmente come sede per accogliere internati.
*Comune passato alla Provincia di Rimini nel 2009. Nel database si è mantenuta la classificazione dell’epoca.
I dati sulle prime tre province sono ricavati dagli studi di C. Di Sante e R. Cruciani, quelli su Pesaro sono stati elaborati dagli autori.
Mondavio, un caso particolare di internamento dopo la tragedia di Podhum.
Nel territorio di Pesaro da segnalare un gruppo di internati provenienti da Podhum, Croazia, luogo emblematico dello stragismo di marca fascista. Gli abitanti del villaggio situato a nord di Fiume, ritenuti conniventi con i partigiani locali dopo l’occupazione da parte italiana della Jugoslavia, subirono una feroce rappresaglia per ordine del prefetto di Fiume, Temistocle Testa.
All’alba del 12 luglio 1942, reparti di camicie nere e di truppe regolari irruppero nel paese. Mentre le case venivano saccheggiate e incendiate e gli armenti requisiti, l’intera popolazione fu condotta in una cava di pietra presso il campo di aviazione dove oltre cento uomini – 64 anni il più anziano, tredici il più giovane – vennero fucilati.
Le 900 persone rimanenti, spogliate di tutto, furono immediatamente arrestate e deportate. Destinazione l’Italia dove vennero distribuite in trenta diverse province. Si trattava di donne, bambini e vecchi.
Nel pesarese il comune di Mondavio accolse 34 profughi, che avevano con sé soltanto i panni che indossavano, e il podestà li sistemò nella rocca, struttura utilizzata anche in precedenza come prigione. L’edificio era privo di acqua corrente, di letti, di biancheria e di materassi e con una cucina totalmente inadeguata.
Nell’ottobre del 1944, quando ormai la provincia era libera, gli ex internati partirono in direzione di Roma per essere rimpatriati. Nel gruppo si contano due decessi in epoca anteriore al rimpatrio, di cui uno a Mondavio e l’altro presumibilmente nella capitale. Inoltre si verifica una nascita, certificata nel comune di Mondavio.
Nella sezione Fotografie e Disegni si può vedere il memoriale dedicato alle vittime di Podhum.
Fonti:
- Archivio di Stato di Fiume.
- Costantino di Sante, Italiani senza onore. I crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1951), Ombre Corte 2005.
- Ivan Kovacic, Tragedija sela Podhum, Rijeka 2007.
- Giacomo Scotti, I massacri di luglio. La storia censurata dei crimini fascisti in Jugoslavia, Red Star Press 2017.
Un flash su Urbisaglia
Non rientra nel presente lavoro uno specifico approfondimento sulle restanti province marchigiane. Tuttavia, nel corso della ricerca su Giuseppe Levi, internato in Provincia di Pesaro e per qualche mese anche nel campo di Urbisaglia, abbiamo conosciuto la particolare situazione al suo interno, a cui vogliamo accennare brevemente per rimarcarne la singolarità e l’importanza politica.
Urbisaglia è uno dei primi campi per internati politici ebrei. La sua apertura avviene già il 1° giugno 1940. Allestito nei locali della Villa Giustiniani-Bandini attigua all’Abbadia di Fiastra, nell’estate di quell’anno ospita una concentrazione straordinaria di intellettuali ebrei antifascisti. Alcuni di loro sono noti alle autorità per antica avversione al Regime, mentre i più giovani, appena iniziati alla vita politica, vengono segnalati per incompatibilità con lo Stato totalitario. Gli uni e gli altri combatteranno il fascismo con determinazione e coraggio fino alla Liberazione, restando attivi anche nella fase di ricostruzione dell’Italia democratica, se non uccisi come accade a Edoardo Della Torre.
Fra i tanti ricordiamo Raffaele Cantoni, ragioniere di origine veneziana, già deferito nel ‘30 al Tribunale Speciale e infaticabile organizzatore della Delasem; Mario Paggi, avvocato nativo di Siena, antifascista della prima ora, confinato a Ponza nel ’28 e tra gli organizzatori del Partito d’Azione nel ‘43; Renzo Bonfiglioli, avvocato ferrarese, allievo di Salvemini e Calamandrei e presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane negli anni Cinquanta, dopo Raffaele Cantoni; Carlo Alberto Viterbo, avvocato di Firenze, direttore dopo la liberazione dalla prigionia, del periodico Israel; Edoardo della Torre, avvocato e insegnante di filosofia, attivo nella Resistenza romana, arrestato nel marzo del ’44 e ucciso alle Fosse Ardeatine; Bruno Pincherle, medico triestino già sottoposto al Tribunale Speciale nel ‘28, poi a fianco di Ferruccio Parri e di Ugo La Malfa nella fondazione del Partito d’Azione; Giuseppe Levi, avvocato genovese, confinato per antifascismo e internato dal 1938 al ’43, in seguito capo partigiano nella zona dei Castelli romani. Levi assumerà anche il cognome della madre, Emma Cavaglione, uccisa ad Auschwitz.
Assieme a tutti costoro, le nobili figure di Eucardio Momigliano, Umberto Segre e Nino Contini, il quale ultimo sarà trasferito alle isole Tremiti per essersi ben presto interessato, anche in qualità di avvocato, alle condizioni degli internati e aver avanzato “diritti” in base al regolamento di P.S. sui confinati politici.
Da quanto emerge ci si chiede se la reciproca e quotidiana frequentazione di tanti oppositori al Regime non vanificasse di per sé la misura punitiva – e la logica stessa della segregazione dei possibili perturbatori dell’ordine – e non contribuisse al contrario a rafforzare i loro convincimenti. Se è così, si tratta di un altro errore di valutazione del capo del Governo, specie riguardo agli italiani. Analogamente al caso analizzato, per gli ebrei allontanati dalle loro città e relegati nei piccoli comuni della penisola, era inevitabile stabilire rapporti con la popolazione locale, benché proibito dal regolamento, e dar vita a possibili focolai di dissenso nel clima stagnate della dittatura.