Con l’emanazione del Regio Decreto n. 566 del 10/6/’40, susseguente alla dichiarazione di guerra da parte dell’Italia, diventano esecutive le misure previste dall’emergenza bellica. Come si può vedere alla voce Normativa, nel mirino della polizia cadono sia gli stranieri che gli italiani giudicati “pericolosi”. Oltre ai civili ariani appartenenti a nazione nemica, numerosi sono gli ebrei. I rastrellamenti iniziano nelle grandi città del Centro-Nord, dove fra l’altro risiede la maggior parte degli ebrei stranieri. Alle prime luci dell’alba, dopo averli prelevati dalle loro abitazioni, i furgoni della polizia li conducono in questura per informazioni insieme agli antifascisti italiani e agli altri perseguitati, poi tutti vengono rinchiusi nelle camere di sicurezza in totale promiscuità con i delinquenti comuni e in misere condizioni: celle infestate da insetti e nell’angolo la botte per i bisogni corporali. La reclusione può durare anche settimane, dopodiché i detenuti vengono accompagnati alla stazione dai carabinieri, caricati sui treni con in mano il foglio di via – in qualche caso con la scorta al seguito – e avviati alla destinazione stabilita: campo, località di internamento o confino nelle isole, a seconda della supposta pericolosità.
Gli ebrei stranieri maschi sono avviati agli appositi campi di concentramento, mentre per le donne e i bambini è previsto l’internamento nei comuni, in attesa di farli convergere, gli uni e gli altri, nel campo di Ferramonti di Tarsia in Provincia di Cosenza. Le direttive del centro prevedono anche che si escludano anziani, ammalati e persone coniugate con italiani, riguardo che sarà ben poco osservato nei fatti, specie nel ‘44.
A qualche mese dall’inizio delle operazioni belliche, le stime per gli internati civili stranieri sono le seguenti: sul totale di 4.200 unità, gli ebrei sono 2.412, in prevalenza tedeschi, austriaci, polacchi, ungheresi e cecoslovacchi, oppure apolidi, così definiti perché in seguito ai provvedimenti razziali e/o all’occupazione tedesca hanno perduto la nazionalità; i restanti appartengono a nazione nemica, Francia o Gran Bretagna. Nel prosieguo del conflitto, a questi casi si aggiungono numerosi stranieri provenienti dalle zone jugoslave occupate dall’esercito italiano, fra i quali molti ebrei. Alla fine del ’42 gli ebrei stranieri internati salgono a 5.636, di cui 2.139 nei campi e 3.497 nei comuni.
Per gli italiani le stime sono le seguenti: nella prima fase del conflitto gli internati in totale sono 1.400, di cui 330 ebrei. Nei primi mesi del ’43, in totale sono 2700 unità, di cui 400 ebrei.
L. Picciotto e S. Capogreco.