Prima e dopo la Shoah, presenza ebraica e vittime

Per quantificare la presenza ebraica nel complesso dei territori europei ci siamo avvalsi della ricerca di Raul Hilberg messa a confronto con quelle di Arno Mayer e di Wolfgang Benz. Le cifre sulla popolazione totale degli Stati non si discostano sostanzialmente nel passare da una fonte all’altra, mentre risultano difformi quelle riferite alle grandi città, dove negli anni della persecuzione i dati dei censimenti ufficiali vengono alterati dal movimento dai villaggi e dai centri minori verso quelli maggiori. Qui infatti la popolazione si sente più sicura.

Ben più arduo il raffronto in merito alla stima delle vittime, che risulta problematica per ragioni diverse. Innanzitutto occorre fare i conti con la parziale distruzione delle prove da parte dei nazisti; in secondo luogo è ben difficile “leggere” e interpretare i dati dei censimenti effettuati nel corso della guerra all’interno di Paesi dai confini profondamente modificati tra il 1939 e il 1945; infine, sfugge a un calcolo matematico l’entità drammatica delle vittime delle fucilazioni di massa, in quanto spesso i corpi venivano bruciati dopo l’esecuzione.

Per tali ordini di motivi le cifre che riportiamo per ciascun paese possono presentare imprecisioni ed errori – in eccesso o in difetto – soprattutto nei territori di confine fra Russia e Polonia e in quelli che interessano le frontiere di Ungheria, Polonia e Romania.

Al numero complessivo delle vittime gli studiosi sono giunti dopo aver sottratto dal totale degli ebrei presenti prima della guerra, gli emigrati, i morti nel conflitto e i sopravvissuti, tenendo conto senza dubbio dei problemi su indicati. Gli esperti sui quali abbiamo fatto completo affidamento non avendo noi una veste specifica di ricercatori in materia, godono di unanime apprezzamento all’interno della comunità scientifica. I loro dati complessivi sull’entità della Shoah tuttavia non concordano tra loro. Si tratta di cifre comunque impressionanti che, inserite nel progetto di cancellazione totale di un popolo e di una cultura, denotano l’unicità dell’olocausto nella storia del genere umano. Al di là della quantificazione, ci preme offrire il quadro d’insieme dell’orrore scatenato dalla politica antisemita nel cuore dell’Europa e mostrare come sia stato ben difficile per i sopravvissuti – se non in certi casi impossibile – ritornare nei paesi e nelle città d’origine dove era stata fatta terra bruciata.

 
Germania e Austria

Esaminiamo congiuntamente le vicende degli ebrei residenti nei due Paesi in quanto dopo l’Anschluss essi sono soggetti alle stesse autorità. Nel 1933 si contano circa 520.000 ebrei in Germania e 190.000 in Austria, ma ben presto inizia l’esodo verso altri paesi. Nel censimento del ‘39 risultano presenti in totale 390.000 cittadini ebrei, di cui 92.000 a Vienna e 83.000 a Berlino. Chi nel frattempo se n’è andato dai territori del Reich ha cercato la salvezza in Europa, in Palestina, in America Latina o negli Stati Uniti. Fra coloro che sono rimasti, si conteranno alla caduta del nazismo circa 200.000 vittime, di cui 60.000 di nazionalità austriaca.

Un fondo archivistico di rilievo per l’Austria è costituito dai Questionari per l’emigrazione compilati da decine di migliaia di cittadini dopo il 1938 e conservati presso la Comunità Ebraica di Vienna (IKG), come si può vedere alla voce Fonti, nella descrizione delle Raccolte rilevanti. Per Vienna in particolare si veda poi quanto detto di seguito in merito a Urss- Bielorussia, su Maly Trostenets (Trostinec), campo di sterminio nazista ivi situato.

 
Bulgaria

Nella società bulgara la comunità ebraica non era molto numerosa né particolarmente influente. I suoi membri, circa 60.000, convivevano con la restante popolazione senza particolari problemi. L’alleanza con Hitler cambia la situazione in quanto il Governo è spinto dai nazisti ad adottare una politica antisemita fino alla deportazione. Questa misura estrema viene però osteggiata da re Boris, e ancor più decisamente dal vice-presidente del Parlamento, Dimitri Peshev. Pertanto il numero delle vittime bulgare nei lager, circa 12.000, è largamente inferiore a quello degli altri paesi dell’Est europeo e riguarda soprattutto gli ebrei di Macedonia e Tracia, regioni annesse al Regno durante il conflitto.
 
Cecoslovacchia

Prima dell’occupazione hitleriana, nell’intero territorio sono censiti 300.000 ebrei, di cui 50.000 nella sola capitale, Praga. Successivamente, le regioni occidentali vengono incorporate al Reich sotto il nome di Protettorato di Boemia e Moravia, mentre la parte restante – Slovacchia – diventa uno stato autonomo,  satellite della Germania, con una popolazione ebraica stimata in 90.000 unità. Gli ebrei di Praga saranno deportati in massa nel lager di Theresin e in altri campi di sterminio. Quelli di Bratislava, altra grande città che ne conta 15.000, vengono in gran parte deportati e uccisi nei lager tedeschi. Alla fine della guerra in tutta la Cecoslovacchia restano poco più di 40.000 ebrei.
 
Grecia

Nel 1940 risultano presenti 77.000 ebrei,  la grande maggioranza dei quali, circa 56.000, vive a Salonicco. Degli altri, 6.000 risiedono in Macedonia, 3.000 in Tracia e 12.000 nell’area soggetta all’occupazione italiana, Grecia continentale e Dodecanneso. Alla fine della guerra, l’80% della popolazione ebraica sarà vittima della deportazione e dello sterminio, e in particolare a Salonicco i superstiti saranno poco più di 5.000.
 
Jugoslavia

Gli ebrei jugoslavi, oltre 70.000 nel complesso, vengono perseguitati non solo dai nazisti ma anche dai fascisti quando il territorio, nell’aprile del 1941, viene invaso e smembrato dalle truppe tedesche e italiane. Queste ultime occupano alcune zone della Slovenia e della Croazia – in particolare la Provincia di Lubiana e la Dalmazia – e successivamente parte del Montenegro. Il restante territorio della Croazia, con capitale Zagabria, diventa uno  Stato indipendente presieduto da Ante Pavelic che si avvale del sostegno di una formazione paramilitare filo-nazista, quella degli ustascia, visceralmente antisemita. Nel capoluogo croato in quel momento si contano circa 12.000 ebrei.

A loro volta le truppe germaniche si impadroniscono di ciò che resta della Jugoslavia, compresa la Serbia con la vecchia capitale del regno, Belgrado.

In Italia vengono internati 1.690 ebrei jugoslavi, assieme a migliaia di non ebrei deportati dalle regioni occupate dai nostri connazionali. Tutte queste persone, verso le quali il Regime fascista si accanirà in modo particolare, verranno  relegate in varie zone dell’Adriatico e della penisola. Ben più drammatiche tuttavia nelle zone soggette alle truppe naziste e agli ustascia, le condizioni degli ebrei rimasti, costretti nei campi di concentramento allestiti nei dintorni di Zagabria e di Belgrado e in seguito deportati nei lager nazisti, oppure sterminati in loco.

I luoghi di detenzione creati dai nazisti o dagli ustascia dopo l’invasione della Jugoslavia sono tristemente noti.  Si tratta di:

–         Topovske Šupe (“Bocche di cannone”), in passato sede di caserma, primo centro di raccolta di ebrei e rom nei dintorni di Belgrado.

–         Campo di concentramento di Sajmiste nell’ex-quartiere fieristico. Situato nella cittadina di Zemun, immediate vicinanze di Belgrado.

–         Campo di concentramento di Banjica retto dai nazisti, attivo da giugno ’41 al ’44, per ebrei, serbi, comunisti, zingari e partigiani catturati. Si trova alla periferia di Belgrado. Sono stati registrati dagli stessi aguzzini i nomi di 23.637 prigionieri. Le prime esecuzioni a titolo di rappresaglia si svolsero a fine giugno ‘41 contro “comunisti ed ebrei”, invece la prima esecuzione di massa avvenne il 17 dicembre 1941 con la fucilazione di 170 prigionieri.

–       Campo di Jasenovac, Croazia (a circa 100 km da Zagabria), operante dall’agosto 1941 all’aprile 1945. E’ il più grande dei campi ustascia e fu destinato a serbi, ebrei, rom e oppositori politici.

Alla fine della guerra, dei 70.000 ebrei iniziali ne risultano presenti circa 12 mila, il 17% del totale.
 
Polonia

Nel censimento del 1938 viene registrata la presenza di tre milioni e trecentomila ebrei, il 10% dell’intera popolazione polacca. Nel 1939, dopo la spartizione del Paese, due milioni di costoro sono soggetti all’occupazione tedesca (circa 400.000 nella sola Varsavia) e la parte restante è inglobata entro i confini dell’URSS. Nelle principali città della Polonia soggetta a Hitler vengono creati i ghetti. Fra i maggiori, quelli di Varsavia, di Lodz e di Leopoli (Lwow). Molti ebrei vivono invece negli shtetl, villaggi e piccole città con larga percentuale di popolazione ebraica, presenti anche in Ucraina, Bielorussia, Romania e Lituania, secondo la denominazione statale odierna.

Elenchiamo di seguito città e paesi polacchi di rilevante importanza ai fini del nostro lavoro, dai quali provengono ebrei internati in Provincia di Pesaro. Salvo diversa indicazione, l’entità della popolazione ebraica residente, riportata per ciascuna località, è quella registrata nel 1939/1940.

Bialystok: 4 0.000 ebrei, che costituiscono la metà della popolazione complessiva. Quasi tutti vengono deportati e uccisi a Treblinka. I bambini, circa 1.200, a Theresin.

Kalisz: 30.000 ebrei al momento dell’occupazione tedesca. Quasi tutti scompaiono nei lager.

Leopoli o Lwow (oggi in Ucraina): 100.000 ebrei, un terzo della popolazione complessiva. Con l’occupazione tedesca iniziano i pogrom, due dei quali nell’estate del 1941 con oltre 6.000 morti. Nel novembre dello stesso anno viene istituito il ghetto, i cui abitanti in gran parte sono deportati a Belzec, mentre altri periscono nel campo di lavoro di Janowska nei pressi della città. Poche migliaia i sopravvissuti.

Lodz: 140.000 ebrei, di cui 40.000  muoiono di fame all’interno del ghetto dove vengono rinchiusi. Gli altri sono deportati in gran parte nei lager di Chelmno e di Auschwitz. 

Pinsk (oggi in Bielorussia): 20.000 ebrei, oltre il 60% della popolazione complessiva. La comunità viene annientata dai nazisti.

Przemysl: 18.000 ebrei, il 37% della popolazione totale. A parte coloro che vengono salvati dalla Resistenza polacca, gli altri sono uccisi dai nazisti.

Stanislawow (oggi in Ucraina): 25.000 ebrei che i nazisti costringono nel ghetto. Di qui in gran parte sono deportati e uccisi a Belzec.

Tarnow: 25.000 ebrei, il 40% della popolazione complessiva. La grande maggioranza, il 90%, scompare nei lager.

Tomaszow: 15.000 ebrei, la metà circa dell’intera popolazione. Prima rinchiusi nel ghetto, vengono poi deportati e uccisi a Belzec.

Varsavia:  oltre 350.000 ebrei. Essi formano la più grande comunità europea. Vengono in gran parte rinchiusi nel ghetto e di qui deportati e uccisi a Treblinka e a Majdanek. I superstiti tentano una coraggiosa e disperata rivolta che viene soffocata nel sangue.

Wilno o Vilnius (oggi in Lituania): circa 55.000 ebrei che vengono rinchiusi in due ghetti. Il 90% di essi sarà sterminato. L’esecuzione sommaria avviene nella vicina località di Ponary (Paneriai), dove i cadaveri sono sepolti in fosse comuni. Prima della guerra la città era chiamata la Gerusalemme del Nord. 

Alla fine del conflitto, gli ebrei polacchi sopravvissuti sono stimati nel numero di circa 300.000, il 10 % dell’entità iniziale.

XXXXX

Un caso particolare che tocca il territorio polacco è quello della deportazione a Sbonszyn (Zbonszyn o Sbaszyn). La località si trova sul confine tra Germania e Polonia, nella regione del Bent Shen. Nei giorni 20-28 ottobre 1938 inizia la deportazione verso Sbonszyn degli ebrei polacchi residenti in Germania. Tuttavia, per coloro che sono rimasti fuori dalla Polonia per oltre 5 anni scatta una misura di rigetto: il governo polacco sostiene che gli ex cittadini hanno perduto la nazionalità, dunque sono apolidi e di fatto vengono fermati in una “terra di nessuno” nei dintorni di Sbonszyn.

Secondo alcune ricostruzioni, saranno dai 12 mila ai 15 mila gli ebrei ex polacchi ad essere deportati in questa località.

Testimoni della deportazione le congiunte della famiglia Ryza che nel 2009 abitavano a Milano. Miriam Milchtajch e la figlia quattordicenne Bella nel 1938 risiedevano ancora a Moenchen-Gladbach (Renania) dove stavano preparando lo sgombero della casa e del loro negozio di pellicceria per potersi trasferire in Italia. Erano state precedute dal marito di Miriam, Laib, e dalle due sorelle di Bella.

Avvertite da un nazista che il giorno seguente sarebbero state deportate, Miriam e la figlia si vestono adeguatamente, mentre molti loro correligionari sarebbero stati portati via in ciabatte e mezzo svestiti. Caricati su un treno-merci, assistono a scene molto crude: una donna maltrattata abortisce sui binari. Una volta a Sbonszyn, dopo qualche tempo Miriam riesce a corrompere una guardia polacca offrendo soldi e il collo di pelliccia che ha indossato. Riescono a scappare e a raggiungere i nonni paterni di Bella a Lodz. La coppia dei nonni è ancora nella propria casa. In seguito sarà deportata e morirà a Treblinka. Nel frattempo Bella e la madre erano riuscite a entrare in Italia (agosto 1939) con un visto dell’Ambasciata del Siam.

La deportazione a Sbonszyn avrà un risvolto politico di vasta portata. Il 6 novembre 1938 a Parigi un giovane ebreo sedicenne, Herschel Grunspan, i cui genitori erano stati da poco deportati a Sbonszyn, spara al consigliere d’ambasciata tedesco Ernst von Rath, uccidendolo. Ne consegue che pochi giorni dopo, nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1938, in tutto il territorio del Reich parte una sistematica caccia all’ebreo con distruzione di negozi e vetrine e numerose uccisioni (“Notte dei cristalli”).

Sulla deportazione a Sbonszyn si vedano:

  • Dizionario dell’olocausto, ed. Repubblica-L’espresso, 2011, vol II, p. 886;

  • L. Maggioli e A. Mazzoni, Con foglio di via, storie di internamento in Alta Valmarecchia, 1940-1944, p 137;

  • G. Ottoleghi, La mappa dell’inferno;

  • A. Schwarz Bart, L’ultimo dei giusti, p. 249 e seguenti;

  • Storia della Shoah, Utet 2006, vol II, p. 241;

  • K. Voigt, Il rifugio precario, p. 308;

  • www.HolocaustResearchProject.org.

 
Romania

In Romania è presente la terza comunità ebraica d’Europa per entità numerica. Nel censimento del ‘40 risulta un totale di 728.000 cittadini ebrei. A seconda delle regioni di appartenenza, essi subiscono destini diversi. Gli ebrei della Bessarabia e della Bucovina sono particolarmente vessati, non solo dai tedeschi ma anche dalle formazioni locali della Guardia di ferro, ultra-nazionalista e filo-nazista. Nella città di Cernauti (Tchernovtsky) – oggi in Ucraina – vengono censiti 42.000 ebrei. Molti altri se ne aggiungono quando il Governo istituisce il ghetto e vi fa affluire da altre regioni migliaia di persone per deportarle oltre il fiume Dniester.

Più della metà della popolazione complessiva viene uccisa nella regione di Transnistria (Moldavia), che diviene un campo di sterminio a cielo aperto. Alla fine del conflitto si calcolano circa 270.000 vittime.
 
Ungheria

Si stima che nel ‘41 nel Paese siano presenti 780.000 ebrei, di cui circa 160.000 a Budapest. Gli ebrei ungheresi sono gli ultimi ad essere deportati, in questo caso ad Auschwitz. L’inizio è nel marzo ‘44, ma gli effetti sono ugualmente devastanti: si calcola che oltre 400.000 persone siano state destinate ai campi della morte. Verso la fine di quell’anno, una larga parte degli ebrei rimasti nella capitale – 70.000 cittadini, compresi 6.000 bambini – viene rinchiusa nei due ghetti e verrà liberata dall’Armata “rossa”. Degli altri, invece, migliaia vengono uccisi dai tedeschi e dalle Croci frecciate, corpo paramilitare magiaro filo-nazista. Rispetto al totale, i sopravvissuti sono circa 300.000.

Nella stima delle vittime ungheresi esiste uno scarto notevole tra le cifre fornite da Hilberg, e quelle riportate da Gutman. In realtà non si tratta di errore di calcolo, quanto piuttosto di una diversa lettura dei confini da parte del secondo. Egli infatti annovera fra le vittime anche quegli ebrei che prima erano cittadini della Jugoslavia, della Romania e della Slovacchia – annesse all’Ungheria manu militari dal ‘38 al ’41 – pertanto la cifra che riporta è molto più alta.
 
URSS

Nel 1941, prima dell’invasione tedesca, all’interno dei territori sovietici che presto saranno occupati dai nazisti vivono circa quattro milioni di ebrei, molti dei quali – oltre 1.200.000 – risiedono nei territori acquisiti nel ‘39 in seguito al patto Molotov-Ribbentropp. Approssimativamente un terzo del totale, circa un milione e mezzo, riesce a mettersi in salvo nelle zone dell’URSS ancora libere. Gli altri sono presi in trappola e in buona parte trucidati dalle Einsatzgruppen – unità operative mobili – che seguono l’avanzata dell’esercito del Reich e si danno a esecuzioni sommarie seppellendo i cadaveri in fosse comuni. Le stragi vengono consumate soprattutto nelle regioni baltiche e in quelle dell’Ucraina, della Bielorussia e della Bessarabia. Gli ebrei scampati al massacro si danno alla macchia, spesso aggregandosi alle formazioni partigiane. Si calcola che le vittime appartenenti direttamente alla Repubblica sovietica, secondo i confini del ‘38, vadano da 700.000 a un milione di unità. Se a queste si aggiungono anche quelle delle regioni ex polacche acquisite dopo il ‘39, si supera largamente la cifra di 1.450.000 vittime.

R. Hilberg, W. Benz, A. Mayer, I. Gutman.

BIELORUSSIA

In questa regione in particolare merita ricordare Maly Trostenets (Trostinec), un campo di sterminio nazista ivi situato. Benché poco conosciuto, fu terribilmente “efficiente”. Si trovava nei pressi di un piccolo villaggio alla periferia di Minsk. Vi furono uccisi circa o forse più di 60.000 ebrei, oltre a prigionieri di guerra sovietici e sospetti di guerriglia. Le vittime furono uccise, a volte gassate, senza neppure arrivare al campo. Questo fu approntato nell’estate del 1941 nel sito di un ex kolchoz denominato Karl Marx. In origine era un campo di concentramento destinato all’internamento delle migliaia di prigionieri di guerra sovietici caduti in mano tedesca dopo l’avvio dell’Operazione Barbarossa. Ben presto, il 22 giugno 1941, venne trasformato in un campo di sterminio. Il 10 maggio 1942 vi giunse il primo trasporto di ebrei. I primi convogli di internati provenivano dalla Germania, dall’Austria e dal Protettorato di Boemia e Moravia. In seguito furono internati a Maly Trostenets i membri della numerosa comunità ebraica di Minsk e dall’area circostante. I deportati nella maggior parte dei casi trovavano la morte poco dopo il loro arrivo. Se non ritenuti idonei al lavoro, erano trasferiti alle vicine foreste di Blagovshchina e Shashkovka, dove venivano fucilati con un colpo alla nuca. Lo sterminio era attuato anche con camere a gas mobili che svolsero una funzione notevole nel processo di genocidio. Non vi furono costruiti impianti fissi di camere a gas. Il 28 giugno 1944, mentre l’Armata Rossa si avvicinava alla regione, i nazisti bombardarono il campo nel tentativo di occultarne l’esistenza. I Sovietici tuttavia scoprirono 34 fosse collettive. Secondo un rapporto speciale preparato dalla Commissione Statale Straordinaria dell’URSS negli anni quaranta, le fosse comuni furono ritrovate nella foresta di Blagovshchina, a circa 500 metri dall’autostrada Minsk–Mogilev.  Per l’entità dello sterminio Maly Trostinez è la località con il maggior numero di vittime austriache della Shoah (da Vienna, circa 10mila ebrei uccisi). Fra queste, Salomea Breitner, moglie dell’internato Josef Timan.

Waltraud Barton, opere e iniziative su Maly Trostinec.