In previsione dell’entrata in guerra, il Governo Mussolini fin dal gennaio ’40 invia in varie regioni italiane ispettori e funzionari del Ministero dell’Interno per reperire luoghi ed edifici idonei a ospitare le persone ritenute pericolose per la sicurezza nazionale. A tal fine mette a punto due modalità di segregazione: una si concretizza nei campi di concentramento, oltre cinquanta, l’altra in una rete di piccoli comuni sparsi per la penisola, circa quattrocento. Questa seconda modalità verrà definita internamento libero.
I campi possono essere edifici di una qualche capienza come ex caserme, alberghi o colonie, oppure spazi recintati e sorvegliati con rudimentali baracche per l’alloggio.
I comuni, che fino al 1943 saranno ubicati prevalentemente nelle regioni centro-meridionali, come per i campi, vengono scelti tra quelli isolati e collinari, con un presidio di carabinieri per la sorveglianza.
Le province di riferimento sono suddivise in cinque zone geografiche, ognuna delle quali affidata al controllo di un ispettore.
La misura della segregazione viene disciplinata da due circolari ministeriali contenenti le Prescrizioni per i campi di concentramento e per le località di internamento:
la n. 442/12267 dell’8 giugno ‘40 e
la n. 442/14178 del 25 giugno ’40.
Presso la Direzione generale di pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno, guidata dal Capo della polizia Arturo Bocchini fino al novembre ’40 e da Carmine Senise poi, ad occuparsi dell’internamento sarà la Divisione affari generali e riservati, affidata a Epifanio Pennetta. Al suo interno due uffici sono addetti alle pratiche degli internati, uno specifico per gli italiani, l’altro per gli stranieri. Tali strutture istruivano i fascicoli personali contenenti la documentazione relativa ai singoli casi e disponevano la revoca del provvedimento qualora il Duce, a sua discrezione, concedesse la grazia.
Le necessità finanziarie dell’internamento vengono affrontate con l’istituzione di un fondo presso le prefetture a cui i podestà dei comuni attingono per far fronte alle necessità della gestione dei “soggetti” sottoposti al loro controllo. Lo Stato infatti assegna agli internati indigenti un sussidio giornaliero, integrato da un’indennità per l’alloggio qualora siano ospitati nei comuni.
Regole dell’internamento nei comuni.
Gli internati sono obbligati a seguire una condotta conforme alle direttive ministeriali, che i singoli questori trasmettono ai podestà e ai commissari prefettizi dei comuni prescelti e di cui le forze dell’ordine curano il rispetto. Per ogni caso particolare le autorità periferiche sottopongono quesiti ai superiori, con la conseguenza che spesso le limitazioni vengono aggravate.
Queste, in sintesi, le norme da osservare.
– Non allontanarsi dal perimetro dell’abitato;
– Non uscire dall’abitazione prima dell’alba né rincasare dopo l’Ave Maria;
– Presentarsi all’autorità di pubblica sicurezza tre volte al giorno ;
– Limitarsi alla lettura dei giornali italiani e per quelli stranieri richiedere preventiva autorizzazione ministeriale;
– Ricevere i congiunti previa autorizzazione della questura e gli estranei previa autorizzazione ministeriale;
– Non partecipare a feste o ricevimenti offerti dagli abitanti del luogo;
– Non ascoltare la radio né occuparsi di politica;
– Sottoporre al podestà tutta la corrispondenza, in arrivo e in partenza;
– Non dar luogo a sospetti.
Vitto, alloggio e indumenti.
Una volta sottoscritta la diffida in presenza dell’autorità civile del luogo, gli internati venivano indirizzati presso affittacamere autorizzati dal comune, oppure in piccoli alberghi a seconda delle disponibilità e dell’offerta locale. Le persone abbienti non ricevevano sussidio, pertanto provvedevano in proprio alle spese, mentre le altre fruivano di un contributo giornaliero di lire 6,50 per il vitto e di uno mensile di lire cinquanta per l’alloggio. Nel corso degli anni il sussidio fu portato prima a lire otto e poi, da luglio 1943, a lire nove. Le mogli conviventi e non internate ricevevano la metà della somma spettante al marito. I figli, se presenti, avevano diritto a tre lire al giorno, portate a quattro nel 1943.
Gli internati non abbienti potevano disporre di pacchi vestiario rigorosamente contingentati e concessi dopo estenuanti sollecitazioni. Si consideri che nelle località assegnate, in prevalenza collinari o montane, gli inverni particolarmente rigidi richiedevano indumenti adeguati.
Spese mediche
Le spese mediche e i ricoveri ospedalieri, qualora prescritti dal medico provinciale, venivano coperti dallo Stato se gli internati erano giudicati “non in grado di provvedere al proprio sostentamento”. In genere l’iter burocratico dalla periferia al centro per ottenere le autorizzazioni richiedeva mesi, come pure le pratiche per la liquidazione. I ricoveri, quando concessi, dovevano essere i più brevi possibili.
Corrispondenza e pacchi
Appena giunti nella sede assegnata, gli internati “presi in carico” nel comune dovevano segnalare i nominativi delle persone con le quali intendevano tenere corrispondenza e solo dopo verifica di polizia venivano autorizzati. La posta in uscita era revisionata dal podestà, mentre quella in entrata era esaminata preliminarmente dalla Commissione censoria provinciale. I pacchi in entrata e in uscita venivano controllati dai carabinieri.
Regole della reclusione nei campi di concentramento.
I campi presentano caratteristiche diverse sul territorio nazionale. In alcuni casi si ritrova la classica disposizione delle baracche di legno, circondate da reticolati e sorvegliate da sentinelle armate. In altri, e sono la maggioranza, la segregazione viene attuata all’interno di edifici come caserme, alberghi o fabbriche dismesse, ritenuti dalle autorità idonei per struttura e capienza.
In entrambi i casi la giornata degli internati è scandita dagli appuntamenti tipici della reclusione: gli appelli, il pranzo, la distribuzione della posta, l’oscuramento serale. E’ vietato intrattenere rapporti con la popolazione locale, occuparsi di politica, ascoltare la radio, leggere pubblicazioni non autorizzate.
La corrispondenza, oculatamente sorvegliata, avviene con i famigliari o con altri soggetti preventivamente segnalati, e dopo che il testo è stato revisionato e, nel caso, tradotto.