Valentin Herbert (caso particolare)
Coniugato/a con: vedovo risposato
In Italia a: Milano, poi Loreto (AN)
In Italia da: /
Percorso di internamento: C.di c. Urbisaglia (MC) dal 25 luglio al 10 novembre '40 quando ottiene la revoca. In carcere a Osimo (AN) dal 4/12/'43 al 15/01/'44; in carcere a Pesaro da gennaio a marzo '44: durante il periodo sembra considerato internato.
Ultima località o campo rinvenuti: Pesaro (carcere)
Deportato: sì
Ucciso in Italia: no
Dopo la fuga e/o la liberazione a: Monaco di Baviera
Fonti: ASP; Com.EBer; Urb; Apz; Aer; ASMAC; FOS; LDM; A2.
Presente fasc. in ASP: sì
Profilo biografico:
Viveva a Berlino-Kreuzberg ed era detto "rappresentante". Iscritto alla comunità ebraica, si era dimesso dal giudaismo il 15 gennaio 1937 quando ormai si era stabilito a Milano.
Il primo contatto con l'Italia è nel novembre del 1936, poi due anni dopo risulta nei registri della popolazione stabile. Con lui vive sua madre, Erna Aron di Abraham. Dopo il divorzio da Agnese Gluck, Herbert si sposa con Anna Bauer, tedesca. Nel ’39, sempre a Milano, nasce la figlia Renata. Nel luglio del ’40 il Ministero dell’Interno ordina il suo arresto per l’internamento. Il fermo avviene il giorno 20 secondo la dichiarazione dell’interessato che viene tradotto in carcere e poi a destinazione accompagnato da agenti. Internato nel campo di concentramento di Urbisaglia (MC) a partire dal 25 luglio, è registrato come commerciante tedesco non abbiente e pertanto sussidiato.
Valentin durante la permanenza nel campo chiede ripetutamente di essere liberato. In una di queste lettere, in cui fra l’altro afferma di essere di religione cattolica e di essere munito di passaporto tedesco valido fino a luglio ’41, domanda di poter riprendere il suo lavoro per mantenere la famiglia, di povere condizioni. In subordine chiede di essere assegnato a un centro industriale per dedicarsi alla messa in opera di una macchina di sua invenzione per la fusione a iniezione delle leghe metalliche. Il direttore del campo di Urbisaglia, P. Spetia, nell’inoltrare l’istanza sottolinea che le applicazioni di tale invenzione sarebbero vantaggiose per l’economia nazionale. Vengono allegate due lettere di Valentin indirizzate a ditte industriali con cui Herbert ha lavorato, la Rabuffetti di Legnano e la First di Torino, alle quali l’interessato scrive di perorare la sua liberazione presso le autorità romane al fine di completare il lavoro rimasto interrotto e non manca di sottolineare che si tratta di costruzioni autarchiche nuove.
Il Ministero dell’Interno nell’agosto seguente gli nega la licenza a Torino per il collaudo della macchina in questione e nello stesso tempo prevede un trasferimento a Tolentino, che però non ci sarà.
Dopo tre mesi e mezzo di segregazione, nel novembre, giunge la revoca. Valentin viene rimesso in libertà, come dichiara la prefettura di Macerata e come lui stesso motiverà in una lettera successiva.
L’ex internato si stabilisce con la famiglia a Loreto (AN). Seguono tre anni di cui non si sa quasi nulla, salvo il fatto che il suo nome – modificato in Valentini, versione che compare in diversi documenti – è incluso in una lista di 41 nominativi di ebrei presenti nel territorio di Pesaro/Urbino nel periodo che precede gli arresti di dicembre ’43. Lui pare trovarsi a S.Lorenzo in Campo.
Il caso diventa complesso nel ’43 e benché ci sia un cenno all’internamento a Pesaro, non è possibile individuare un preciso periodo.
Il 3 dicembre Herbert viene arrestato a Loreto. Incarcerato a Osimo (AN), resta recluso fino al 15 gennaio ’44. Tre giorni dopo, il 18 gennaio, viene tradotto nelle carceri di Pesaro. La Prefettura dirà che giunge a Pesaro dalle carceri di Senigallia. Il trasferimento nella nuova provincia forse si spiega con la segnalazione di cui sopra dei 41 ebrei presenti in questo territorio. La posizione giuridica di Valentin è quella di “fermato per misure di pubblica sicurezza perché appartenente alla razza ebraica”.
Dal carcere di Pesaro l’internato si rivolge al questore il 4 febbraio e il 2 marzo ’44, la seconda volta con lettera “in busta chiusa”. Valentin informa l’autorità di aver già rivolto istanza al Prefetto di Ancona, al quale si è presentata anche sua moglie ottenendo conferma circa le “recenti disposizioni del Duce riguardanti gli ebrei cattolici con moglie ariana”. Si professa “battezzato cattolico” (nel ’38), sposato con “cattolica ariana” e con due figlie battezzate (Claudia nasce nel ’40), pertanto chiede di poter tornare in seno alla sua famiglia dove vive anche l’anziana madre di 76 anni.
In chiusura indica delle referenze, fra le quali due ditte marchigiane e il vescovo di Loreto, Mons. Malchiodi. Fa notare poi che quando si trovava a Urbisaglia aveva ottenuto rapidamente la revoca dall’internamento grazie ai suoi meriti nel lavoro, essendo artefice di macchine “finora mai costruite in Italia”, con l’utilizzo di leghe metalliche autarchiche (zinco, alluminio). Assicura di aver sempre lavorato per il progresso industriale dell’Italia. A suo merito vanta anche il fatto di aver collaborato come interprete volontario nella consegna all’arma aerea italo-tedesca (2° squadra), di "circa 20 velivoli della ditta Nardi-Loreto" presso l’aeroporto della città stessa, nel settembre e novembre '43.
Effettivamente a Loreto si producevano aerei per conto dell'Aeronautica militare da parte dei fratelli Nardi, i quali utilizzavano il locale campo di volo. Dopo l'armistizio questo fu occupato dai tedeschi, mentre a guerra finita fu smantellato.
Sottoposto a visita medica, Herbert viene giudicato dal medico provinciale, idoneo al campo di concentramento e il questore il 28 febbraio ordina alla direzione delle carceri di tenerlo recluso in attesa di destinazione.
E qui inspiegabilmente interviene ancora Ancona. Pochi giorni dopo, l’8 marzo ’44, la questura di Osimo chiede la traduzione straordinaria nella propria giurisdizione “dell’ebreo apolide Valentin Herbert”, in quanto dev'essere tradotto nel campo di concentramento di Carpi (si legga Fossoli). Precisa che l’internamento di Valentin viene sospeso. Il trasferimento da Pesaro a Osimo avviene il 16 marzo ’44.
Questo fatto si può spiegare solo con pressioni da parte dei fascisti locali perché il Prefetto di Ancona, sede di Osimo, fin dal 14 febbraio, presumibilmente dopo aver ricevuto l’istanza di Valentin, scriveva al capo della P.S. a Roma per proporre la revoca della misura adottata per l’ebreo convertito, chiedendo che fosse rimesso a piede libero e internato a Loreto dove la sua famiglia viveva “nella più squallida miseria”. A sostegno di ciò, tutti gli argomenti suggeriti dall’interessato che noi a quella data pensiamo recluso nel carcere di Pesaro, mentre il Prefetto, forse equivocando i termini del problema, lo considera già a destinazione, tanto che inoltra la lettera per conoscenza anche al capo della Provincia di Modena, in quanto Valentin sarebbe già stato “avviato al campo di concentramento di Carpi”.
Ne conseguono numerosi solleciti urgenti del Capo della polizia al Gabinetto del Ministero dell’interno, “sede Nord” (Salò), per una decisione circa la sorte di Valentin. Le date vanno dal 1° aprile ’44 al 13 gennaio ’45; in quest’ultima breve missiva il capo della polizia fa riferimento a una propria lettera, forse più completa, del luglio ‘44.
La risposta non arriverà mai; in una nota a mano sull’ultimo sollecito si legge: “Al tabellino non risulta pervenuta.”
Nel volume L’alba ci colse come un tradimento dedicato alla storia di Fossoli, Valentini Herbert è registrato tra gli ebrei reclusi nel campo e di lì deportati. Nel Libro della memoria leggiamo poi che la sua partenza da Fossoli ad Auschwitz avviene il 22 febbraio ’44, dunque in data precedente rispetto alla ricostruzione fin qui fatta, ma i riferimenti anagrafici fanno credere fortemente che si tratti della stessa persona. Restano pertanto dei punti da chiarire. Il viaggio verso Auschwitz risulta di esito incerto: immatricolazione dubbia, data e luogo della morte ignoti.
In ogni caso, Valentin Herbert è tornato a casa. Nel 1951 il Ministero dell’Interno sulla base di esposto dello stesso Valentin intrattiene un carteggio con i capi delle province in cui ha subito internamento e carcere - Milano, Macerata, Ancona, Pesaro-Urbino - al fine di ottenerne la relativa certificazione. E le province confermano date e fatti, esclusa Milano visto che gli atti del ’40 furono distrutti in seguito agli eventi bellici. Macerata risponde che già nel ’49 aveva fornito riscontri al Ministero degli Esteri sull’internamento di Valentin a Urbisaglia.
Per parte sua l’interessato chiede attraverso il consolato d’Italia a Monaco di Baviera l’attestazione delle persecuzioni subite per ragioni razziali da presentare alle autorità tedesche, in quanto quelle già esibite sembrano andate perdute. Nel 1951 risulta abitare nella città natale della moglie Anna Bauer, Erding in Alta Baviera, nella via dedicata ai fratelli Scholl della “Rosa Bianca”.