Jellinek Gustav
Dalla scheda segnaletica della Questura di Pesaro dell’agosto ‘43.
Famigliari compresenti: moglieConiugato/a con: Drucker Teresa
In Italia a: Milano
In Italia da: /
Percorso di internamento: Lama dei Peligni (CH) presente il 14/9/'40; C. di c. di Campagna (SA) presente il 7/5/'42, c. di c. di Ferramonti di Tarsia (CS) presente il 18/3/'43 (APz); Villanova d'Asti (AT) fino al 17/8/'43; Macerata Feltria (PS) dal 24/8 al 3/12/'43 quando è recluso nelle carceri locali. Scarcerato il 28/1/'44, viene di nuovo internato nel comune, ma subito fugge con la moglie.
Ultima località o campo rinvenuti: Macerata Feltria (PS)
Deportato: no
Ucciso in Italia: no
Dopo la fuga e/o la liberazione a: Pesaro; Riccione (FO), poi Argentina
Fonti: ASP; A1; A2; EMF; ASCMF; Me.viva; AB.
Presente fasc. in ASP: sì
Profilo biografico:
In una lista della questura di Pesaro è detto commerciante, anche se poi sarà conosciuto come pittore. Giunge nella provincia marchigiana, a Macerata Feltria, dopo circa tre anni di internamento in altre località d’Italia.
La permanenza in quest'ultimo comune è relativamente breve ma il legame che si stabilisce con il piccolo paese marchigiano è così forte che nel maggio 2001 porterà l'ex internato a tornarvi dall’Argentina. Con lui ci sarà la figlia Matilde, nata a Pesaro dopo la guerra.
Nell’occasione dell'incontro è stata effettuata un'intervista, dalla quale ricaviamo preziosi elementi di conoscenza sul periodo che precede il suo arrivo in Italia e sui punti che la documentazione d'archivio non chiarisce.
Jellinek a Vienna frequentava l’Accademia di belle Arti studiando presso un istituto religioso in cui si insegnavano sia il cattolicesimo che l’ebraismo. Fugge con l’arrivo dei nazisti, prima a Zagabria, poi a Lubiana, infine chiede di essere inviato in Italia dove, essendo un ebreo convertito, si mette in contatto con religiosi che gli prestano soccorso.
Dice che la moglie lo affianca, dunque le date del percorso di internamento indicate per lui sono state estese anche a lei.
Nel settembre ’40 viene internato a Lama dei Peligni (CH), dopodiché conosce due campi di concentramento, quello di Campagna (SA) e quello di Ferramonti di Tarsia (CS). Trasferito a Villanova d'Asti (AT), vi rimane fino ad agosto '43 e il mese seguente giunge a Macerata Feltria dove con la moglie Teresa Drucker prende dimora presso un’abitazione privata, quella di Giovanna Battelli.
Per il rinnovo o la verifica del permesso di soggiorno, qui è registrato assieme ad alcuni ebrei internati in provincia: G. Juk, A. Schuschny, F.Majaron e L.Scharzfberg.
Il 3 dicembre ’43 gli Jellinek vengono arrestati e incarcerati. Restano reclusi fino al 28 gennaio ’44 quando lui è liberato per assistere la moglie, giudicata non idonea al campo di concentramento. A quel punto vengono condotti in questura nel capoluogo per conoscere la destinazione successiva, che sarà la stessa Macerata Feltria. Ed è proprio in questura che colgono il velato suggerimento di un funzionario di darsi alla fuga.
Così faranno quella notte stessa dopo essere tornati nel comune loro assegnato. Inizialmente si rifugiano nelle campagne circostanti e sopravvivono grazie all’aiuto di contadini, pastori e partigiani, poi devono andarsene per l’arrivo dei tedeschi. Raggiungono la Repubblica di San Marino e, in costante pericolo, stanchi e affamati, si mescolano alle migliaia di sfollati. Conoscono infine la liberazione e tornano a Macerata Feltria in casa della famiglia Battelli presso la quale dimoravano.
Nell'aprile del '45, nell'informare delle loro condizioni una signora di Firenze - Erminia Stern - il questore di Pesaro dice che gli Jellinek sono ancora a Macerata Feltria, mentre l'altra famiglia di cui la signora ha chiesto notizie, quella degli Schuschny, è da tempo fuggita per sottrarsi ai tedeschi.
Le due coppie di internati avevano diversi punti in comune: entrambe passate per Lubiana, avevano vissuto un periodo a Villanova d’Asti e un altro insieme a Macerata Feltria.
Dopo la guerra, gli Jellinek si trattengono per alcuni anni in Italia, a Pesaro e a Riccione, per poi emigrare definitivamente in Argentina.
Quanto alla sorte della famiglia d’origine di Gustav, egli dice di aver conosciuto la verità attraverso la Croce Rossa: la madre deportata a Riga e uccisa, l’altra parte della parentela catturata in Jugoslavia. Di circa trenta persone, solo due sopravvissero, salvate dai partigiani.
Molte le testimonianze contenute nel volume Ebrei a Macerata Feltria, che in copertina riporta un dipinto di Gustav realizzato dalla cella del carcere.