Jeckel (Jekel) Salò
Dalla scheda segnaletica della Questura di Pesaro del novembre ‘40.
Famigliari compresenti: moglieConiugato/a con: Frankel Chama Ryfka
In Italia a: Fiume (ora Croazia)
In Italia da: /
Percorso di internamento: Apecchio (PS) dal 27/11/'40 ad aprile '44. Ancora ad Apecchio nel luglio '45.
Ultima località o campo rinvenuti: Apecchio (PS)
Deportato: no
Ucciso in Italia: no
Dopo la fuga e/o la liberazione a: Apecchio (PS); Roma; USA.
Fonti:
ASP; A1; A2; A1bis; Cdec; A3, b.16; ASCA; Bad.
Presente fasc. in ASP: sì
Profilo biografico:
Originario della Polonia, era commerciante e si era formato a Vienna dove viveva con la moglie Frankel Chama Rifka. Entrambi vengono internati in Provincia di Pesaro il 27 novembre ’40, con destinazione Apecchio.
Il mese seguente la prefettura del Carnaro informa l’omologo ufficio marchigiano che Jeckel e la moglie, “ebrei germanici”, hanno bisogno del sussidio previsto per gli internati avendo il capofamiglia perso il lavoro di rappresentante di una ditta di Vienna. Fa notare che percepivano aiuti da parenti viventi in USA.
Lui avanza subito una richiesta al Ministero dell’Interno: vorrebbe leggere giornali e riviste tedesche e dunque chiede l’autorizzazione a farseli pervenire. Il questore anticipa che il nulla osta potrà essere dato “purché non trattasi di periodici la cui introduzione e divulgazione nel Regno è vietata.”
Nel dicembre '41 viene nominato dalla Delasem di Genova corrispondente da Apecchio per gli altri ebrei internati e il suo nome compare ancora nel '42 tra i designati.
Un’altra istanza di Jeckel sarà bocciata senza riserve. Nell’estate ’42 un genitore di Apecchio, il signor Renato Matteucci, chiede che il figlio possa prendere lezione di lingua tedesca da Jeckel. Il commissario prefettizio non si oppone, ma il questore rifiuta il permesso per ragioni di “razza”.
Nel corso del ’43 risultano diverse richieste di visita medica da parte dei coniugi Jeckel, con relativa autorizzazione a loro spese. Il 3 dicembre '43, nell'ambito del fermo generalizzato degli ebrei, lui e la moglie vengono arrestati dai carabinieri di Piobbico (PS). In quel momento ad Apecchio sono fermati anche Ervino Bianchi-Weisz e Giorgio Gottesman, poi tradotti alle carceri di Cagli. Gli Jeckel, forse per ragioni di salute, non sono incarcerati. Come risulta anche in APz rimangono a Piobbico, ma il 13 dicembre sono sicuramente ad Apecchio come risulta dai sussidi percepiti, i cui rendiconti sono conservati presso l’Archivio comunale.
Intanto la questura sollecita chiarimenti sui casi degli ebrei non arrestati per ragioni di salute o per aver superato i 70 anni: il 16 dicembre '43 vengono segnalati gli Jeckel e Pacht Karl, per assistere il quale è stata lasciata in libertà la moglie Maria Rosenzweig.
Analoga sollecitazione viene fatta il mese seguente e a tale proposito il commissario prefettizio di Apecchio risponde che “l’internato Jeckel trovasi tuttora ammalato ed impossibilitato sostenere un viaggio fino a Pesaro.”
Arriviamo al 31 marzo ’44 per prendere atto della tragicomica risposta dei carabinieri di Apecchio al Comando di Urbino in merito agli Jeckel: “Avendo la Questura di Pesaro chiesto l’arresto e la traduzione degli internati in oggetto da Apecchio al carcere di Pesaro, si prega codesto comando compiacersi assegnare il quantitativo di carburante necessario per eseguire detta traduzione, poiché l’autista è completamente sprovvisto.”
Le carte trovate in Bad Arolsen gettano luce su un risvolto imprevedibile. E' lo stesso Jeckel a raccontare la sua vicenda nel giugno 1948, da Roma, in attesa dell'autorizzazione ad emigrare in USA. Parte da lontano, da quando nel 1910, a 14 anni, lascia la Polonia per trasferirsi a Vienna dove lavora come apprendista presso un commerciante e contemporaneamente frequenta tre anni di scuola commerciale. Fa il servizio militare durante la prima guerra mondiale, poi dal 1923 al '38 conduce un negozio di tessuti a Vienna. Nel marzo '38, dopo l'Anschluss, lascia immediatamente la città. Aveva saputo che la polizia tedesca lo stava cercando, così non si fa trovare in casa. Raggiunge Fiume, dove riprende l'attività di agente commerciale.
Su questo punto i dati non concordano con la prefettura del Carnaro: questa afferma che Jeckel era lì residente dal 1930, mentre lui, come si è detto, indica il '38.
Riprende il racconto di Salò. A Fiume si registra subito per l'emigrazione in USA. Grazie a ciò, la moglie Chama Rifka può raggiungerlo nel luglio '39 con un pass regolare ottenuto a Vienna perché attestava che stavano per partire per l'America. Finché, nel giugno '40 Salò viene arrestato dalla polizia italiana e incarcerato, e in seguito inviato ad Apecchio in internamento. E' presente nello stesso comune anche dopo l'otto settembre '43.
Nel febbraio '44 i tedeschi arrivano in paese e le autorità provinciali insistono per il suo arresto, così Salò scappa. Ad aprile 1944 è sulle montagne con i partigiani. Egli afferma esplicitamente che lo accettano, il che significa che non combatte, ma semplicemente sta nascosto presso di loro. Intanto la moglie resta ad Apecchio, lui dice "nascosta".
Succede però che a giugno '44 Salò venga catturato dai tedeschi. Benché protesti di essere un cittadino austriaco (loro non sanno che è ebreo) è caricato su un mezzo militare e, passando per Rimini, condotto fino a Vienna. Di lì giunge a Mauthausen dove viene recluso (agosto '44). Ora le autorità tedesche sanno che è ebreo. Jeckel resta nel campo fino alla liberazione dello stesso nel maggio '45, e subito torna dalla moglie ad Apecchio.
Tale racconto va integrato con i dati che emergono presso l'Archivio di stato di Pesaro e presso il comune di internamento. Una lettera del sindaco di Apecchio alla Questura di Pesaro datata 10 dicembre ’44 afferma che gli Jeckel, giunti il 27 novembre ’40, “rimasero sempre in Apecchio”, passaggio che mal si concilia con quanto detto sopra. Il sindaco chiede se debba continuare a considerarli internati oppure no, visto che il territorio è stato liberato. Nel frattempo l’erogazione del sussidio è ripresa dal 1° settembre ’44.
D'altra parte, a suffragare le parole di Salò, emerge un fatto nuovo. In un documento conservato presso l'archivio centrale dello Stato leggiamo che il 23 maggio 1945 gli Jeckel sono ancora in Provincia di Pesaro con un gruppo di 42 persone - ex internati ed ex confinati politici - in prevalenza slavi, provenienti dal campo di concentramento di Anghiari (AR). Tale riscontro, di difficile interpretazione fino al ritrovamento dei questionari di Bad Arolsen, getta luce sulla situazione di sbandamento vissuta dai profughi dopo la fine della guerra. Forse Jeckel era appena rientrato in Italia dal campo di Mauthausen, liberato il 5 maggio '45.
Tornato ad Apecchio - racconta ancora Salò Jeckel - cade gravemente ammalato e viene aiutato dagli amici italiani del posto. Nel luglio '45 la commissione UNRRA visita il paese e siccome lo trova seriamente sofferente, gli assegna un contributo di ottomila lire. In ottobre '45 lui e la moglie raggiungono Roma per curarsi e prepararsi a partire. Ricevono un aiuto dalla stessa organizzazione fino a luglio '47 quando questa viene sciolta, dopodiché sono sostenuti dall'AJDR fino a giugno '48.
La moglie lavora presso l'Ufficio della Jewish Emigration fino ad agosto '47. Entrambi i coniugi conoscono la lingua italiana. Salò conosce perfettamente anche il polacco, lingua madre, e il tedesco, oltre a un po' di inglese.
I funzionari che devono valutare le richieste di Jeckel lo descrivono come un uomo invecchiato, "distrutto", con un viso segnato dalla sofferenza per le peripezie subite e dalla guerra. Ciò è ancor più evidente se si paragona il suo aspetto attuale con la fotografia sul passaporto del '38. Pertanto lo appoggiano.
Jeckel afferma che non vuole tornare nella sua terra d'origine, la Polonia, per l'antisemitismo diffuso tra la popolazione. Inoltre in quel paese ha perso tutto, non ha più parenti visto che diciotto membri della sua famiglia sono stati uccisi. Ha paura di tutti i regimi terroristici passati e presenti. Precisa che è nella lista polacca d'attesa per gli USA, visto che intende raggiungere il fratello Moris a New York. I suoi documenti e quelli della moglie sono scaduti, compreso il permesso di soggiorno "white" che lui aveva ottenuto a Pesaro.
L'emigrazione si attuerà nei primi anni Cinquanta.