Furcht Carlo
Coniugato/a con: Helene Dekarli
In Italia a: Milano
In Italia da: /
Percorso di internamento: Urbania (PS) dal 13/9/'43 al 15/9/'44.
Ultima località o campo rinvenuti: Urbania (PS)
Deportato: no
Ucciso in Italia: no
Dopo la fuga e/o la liberazione a: Roma cinecittà
Fonti:
ASCU; ASFiume; Bolz; Test.R.F; JewG.
Presente fasc. in ASP: no
Profilo biografico:
Il padre di Karl Furcht, Wilhelm, nato nel 1862, era originario di un villaggio tra Boemia e Moravia. Nel 1896 Wilhelm sposa a Steyr, Austria, Hermine Skalla, nata nel 1875. Sappiamo poi che apre un negozio di pellami e altri articoli a Linz. La coppia avrà 5 figli: Karl nato nel 1898; Fritz nato nel 1899; Rudolf nato nel 1901; Gustav nato nel 1903 e Walter nato nel 1911.
Fritz e Karl combattono nella Prima Guerra Mondiale sul fronte sud con l’esercito austro-ungarico. Fritz muore di tifo, Karl viene fatto prigioniero dagli italiani e inviato in un campo di lavoro agricolo a Lucca. E’ in quel frangente che “si innamora” dell’Italia, come ricorda il figlio Roberto.
Ben presto Karl si stabilisce a Bolzano e sposa una cittadina della città, Helene Dekarli. Nel ’29 nasce Roberto, uno dei pochi testimoni viventi (2015) delle persecuzioni razziali a Bolzano durante l’ultima guerra. Egli rende il suo prezioso racconto anche agli autori di questo sito.
Roberto riceve lezioni private di ebraico, mentre i genitori non sono molto assidui nella vita religiosa della comunità, benchè frequentino diversi correligionari del posto. Nonostante la giovane età – nel ’38 ha 9 anni – Roberto ricorda le vessazioni e le beffe a cui viene sottoposto. Non ha più un amico, nella scuola sono continui dispetti, la dignità è calpestata, infine gli si nega il diritto di presentarsi in classe. Per i sudditi ebrei di lingua tedesca del Sudtirolo è subito chiaro il cambiamento politico sopravvenuto. Suo padre Karl, che lavora per conto di una compagnia austriaca di assicurazioni con sede a Bolzano, viene offeso e insultato. Nel ’39 in meno di un giorno è costretto ad abbandonare la città con i suoi congiunti.
Tutta la famiglia Furcht subisce i contraccolpi delle persecuzioni razziali, a partire dai fratelli di Karl.
Rudolf, grazie alle conoscenze acquisite nel ramo della produzione di pianoforti, era riuscito a convincere un gruppo di imprenditori e professionisti di Bolzano a fondare una fabbrica, la “Schulze Pollmann” di cui era diventato socio e responsabile commerciale. Poi a causa delle leggi razziali le sue quote vengono confiscate. Espulso dalla città, si trasferisce a Milano e nel ’43 fugge illegalmente e ripara in Svizzera dove la sua presenza è registrata il 22 settembre.
Walter, che viveva a Linz, ripara a Tel Aviv.
Anche Gustav, che è commerciante, era a Linz quando nel ’38 fu costretto come tutti gli ebrei a dichiarare la propria appartenenza religiosa. Nel ’42 si trova in Francia. Qui viene arrestato, ristretto nel campo di concentramento di Nexon e in seguito condotto a Parigi. Sarà deportato ad Auschwitz dal tristemente noto velodromo d’inverno, per non fare più ritorno.
Gli anziani genitori di Karl rimasti in Austria periscono tragicamente. Nel ’39 da Linz sono costretti con molti altri ebrei a trasferirsi in un quartiere di Vienna all’interno dello Judenhaus. Il vecchio Wilhelm, che il nipote Roberto ricorda come un uomo paziente e amabile, viene spinto giù dalle scale e muore per le ferite. La moglie Hermine nel gennaio ’42 è deportata a Riga e rinchiusa nel ghetto dal quale non farà ritorno.
Karl, la moglie e il figlio Roberto si salvano dopo anni di gravi difficoltà e pericolo, come vediamo qui di seguito.
Nel novembre del ’39 la famiglia di Karl lascia Bolzano in gran fretta e si rifugia a Milano. Nel ’42 sfollano a Cittiglio (Varese) nei pressi del lago Maggiore e qui l’8 settembre ’43 vengono sorpresi dall’armistizio. Karl non sa cosa fare, anche se si rende conto che bisogna nascondersi da qualche parte. E' il 12 settembre quando in paese giungono dei corpi delle S.S. In gran fretta Helene e Roberto si dirigono alla stazione ferroviaria per fuggire. Entrano nel bar della stazione ma improvvisamente un gruppo di nazisti irrompe nel locale e chiede al cameriere se conosce la famiglia Furcht. I militi delle S. S. sono a pochi centimetri dai ricercati i quali per fortuna non vengono identificati. Lo stesso gruppo di nazisti pochi giorni dopo compirà l’eccidio di Meina sul lago Maggiore.
In quel periodo la moglie di Karl lavorava alla SNIA Viscosa; decide di contattare un collega di lavoro. Questi li accompagna nel centro più vicino, in direzione Como. Si presentano al Collegio Gallio il cui rettore è un religioso, padre Giovanni Ferro. Egli li accoglie tra le mura del collegio. In pochi giorni i fuggiaschi ottengono carte di identità false. Il giovane Roberto resta in collegio, dove frequenterà due anni scolastici in tutta sicurezza fino al termine della guerra. Il padre Karl, che con ogni probabilità non può trattenersi nella struttura, cerca un’altra strada.
Nell'opera dedicata alle vicende della comunità ebraica di Bolzano e di Merano "Quando la patria uccide" Roberto Furcht racconta che anche suo padre fu salvato da un religioso e precisamente da un parroco delle Marche, dove si era rifugiato. In seguito raggiunse la capitale e rimase per qualche tempo presso il campo di raccolta di Cinecittà, condividendo la baracca con il famoso sarto Emilio Federico Schubert.
Presso l’Archivio di Stato di Pesaro su Karl Furcht non c’è fascicolo ma abbiamo rinvenuto documenti presso il comune di Urbania (PS) e presso l’Archivio di Stato di Fiume. Da quest'ultima fonte si ricavano notizie sul periodo in cui egli si trovava a Milano, sottoposto evidentemente a stretta sorveglianza da parte della polizia fino al Carnaro. In un rapporto si scrive che l’ebreo “germanico” – in realtà ex austriaco – è appunto domiciliato a Milano, dove il 7 agosto ’40 gli viene rilasciata la carta d’identità.
E’ autorizzato a risiedere in Italia trovandosi nelle condizioni prescritte dall’art.25, lett. B del RDL n.1728 del 17/11/38, cioè sposato con italiana anteriormente al 1° ottobre ’38, requisito da documentare con istanza al Ministero dell’Interno entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto razziale.
Nell’ottobre ’41 la Questura di Milano trasmette agli omologhi uffici di Trieste, Treviso, Fiume e Roma una richiesta di Karl Furcht il quale chiede di potersi recare periodicamente per lavoro nei rispettivi capoluoghi. In realtà segnalazioni della sua presenza compaiono anche ad Ancona, Ravenna, Viareggio e Lucca, come risulta dai telegrammi con i quali i segugi si comunicano vicendevolmente ogni suo passo. In ogni caso, nel novembre ’41 da Fiume “su conforme avviso degli organi militari competenti” si oppone un rifiuto. La decisione è comunicata alla questura milanese; sul foglio il timbro “Segreto”.
In occasione di un precedente soggiorno a Fiume del luglio '41, Furcht aveva preso alloggio presso l’albergo Quarnaro. Le carte di Fiume si fermano qui.
Grazie alla testimonianza del figlio Roberto, sappiamo che suo padre lavorava anche come rappresentante dei liquori Stock e questa probabilmente è l’attività del periodo milanese. Poi nel ’42 la famiglia lascia Milano per stabilirsi a Cittiglio e vi resta fino all’armistizio. Dopodichè, giunte nel paese le guarnigioni delle S.S., come detto sopra, il ragazzo viene messo al sicuro nel collegio nominato, mentre il padre cerca di spingersi verso sud.
Roberto Furcht sa che il padre Karl si rifugiò in un paese delle Marche presso un parroco. Noi abbiamo la certezza che il paese era Urbania. La presenza di Karl Furcht nel comune risulta per un anno esatto, dal 13 settembre’43 al 15 settembre ’44, e il suo nome è in elenco con quello degli altri internati, prevalentemente ebrei.
Urbania verrà liberata il 29 agosto ’44. Nell’ultimo periodo della guerra in paese sono presenti pochi internati sul totale di 61 ebrei transitati a partire dall’inizio del conflitto.
A illuminarci sulla permanenza di Furcht è il rendiconto della contabilità relativa ai sussidi che il sindaco del comune - non più il podestà - trasmette alla prefettura di Pesaro nell’autunno ’44, subito dopo la liberazione. Il Prefetto fa presente che ora è l’AMG (Allied Military Government) ad autorizzare la spesa per gli internati, pertanto occorre precisare per ciascuno di essi la provenienza e la decorrenza delle erogazioni.
Nella lista compaiono nominativi di internati presenti nel nostro database: Karl Furcht; la famiglia del dottor Isak Hapner (4 persone); Ludwig Gruner; Lubomira Hirszhorn; Bernard Epstein; Maria Wegrzych; Irma Olschowski; Helmann Ralph; Salomone Levi; Aron Weiss; Bassia Zac; Alec Ilse e la madre; Edith Meyer; Niesse Kaempf Prikken; Risto Popovic; Max Nagler.
Karl Furcht è definito “internato ebreo” e le autorità riferiscono quanto lui stesso probabilmente ha raccontato di sé. Non viene nominata Cittiglio dalla quale in realtà proviene, ma Bologna, forse per non mettere a repentaglio la sicurezza dei congiunti. Karl dice che nei giorni dell’armistizio si trovava appunto nei pressi di Bologna come “viaggiatore” di commercio e, non potendo dirigersi a Milano ove aveva domicilio, “per sfuggire alla sicura deportazione” preferì internarsi in quelle campagne. Non fa il nome del parroco presso il quale abita ma ciò non toglie che viva presso di lui, come racconterà ai familiari.
Il sindaco attesta che il periodo della sua permanenza a Urbania è “comunque sempre documentabile”. Dice poi che Furcht preferì “presentarsi solo quando ebbe la sicurezza di poter partire”. Il periodo di latitanza è confermato dalle autorità. Nel prospetto delle riscossioni vengono calcolati 364 giorni di permanenza per i quali è stato erogato dal comune il sussidio alimentare previsto, oltre all’indennità di alloggio da versare all’ospitante.
Infine, nella relazione del sindaco di Urbania, si precisa che solo due degli internati decidono di rimanere nel comune dopo la liberazione, mentre gli altri - forse tutti i rimanenti - il 16 settembre ’44 partono alla volta di Roma con un automezzo fornito dalle autorità alleate. Fra questi c’è sicuramente Karl Furcht.