Braun (Braum) Brankovic (Brancovich) Giuseppe
Brankovic Giuseppe, Arolsen Archives.
Famigliari compresenti: /Coniugato/a con: Rosa Hajdin
In Italia a: Sussa (Susak)
In Italia da: /
Percorso di internamento: Sant'Angelo in Vado (PS) presente nel marzo ’43 e ancora a maggio, settembre e ottobre '43.
Ultima località o campo rinvenuti: Svizzera
Deportato: no
Ucciso in Italia: no
Dopo la fuga e/o la liberazione a: /
Fonti:
A1; A2; ASFiume; ASP3, ebrei stranieri, Brog; JewG, S.Fond; Bad.
Presente fasc. in ASP: no
Profilo biografico:
Presso l’Archivio di Stato di Pesaro su di lui non c'è fascicolo nel fondo specifico degli internati, mentre il nome compare nel fondo “Pratiche relative alla campagna razzista” per la dichiarazione di soggiorno da parte degli ebrei stranieri internati. Siamo nel marzo ’43 e l’interessato afferma di non essere in possesso di dichiarazione di soggiorno. La lista è compilata a cura dalla questura.
In altro elenco di internati civili stranieri "segnalati quali Agenti sospetti o accertati di spionaggio", Braum Brankovic viene detto "industriale" di razza ebraica, con domicilio a Sussa (Susak) presso Fiume. La firma è del questore di Pesaro, G. Salan, che subentra a F. Di Salvia dopo il settembre '43.
Notizie più precise sul caso sono ricavate dalla documentazione conservata presso l'Archivio di Stato di Fiume. Giuseppe Braun Brankovic è un commerciante di legnami e nel contempo proprietario dell'Hotel Parco, (Park), dove lavorano due oppositori politici che vengono presi di mira negli ultimi mesi del '42. Uno di questi è una donna, sorella di Vladimiro Pajalic. Ben presto lo stesso Vladimiro e i due dipendenti dell'hotel saranno destinati all'internamento in Italia.
Per parte sua, Giuseppe Braun Brankovic ha un figlio, Marco, condannato a 20 anni di reclusione per "attività comunista" e due "figliastri" arrestati e condannati a sette anni di reclusione per attività sovversiva. Costoro si chiamano Branko e Zarko Mrvos e sono fratelli di Milena Mrvos, moglie di Vladimiro Pajalic. Giuseppe infatti ha sposato la loro madre, Rosa Hajdin, vedova di Stefano Mrvos.
Per sfuggire alla situazione politica incandescente, nel mese di ottobre '42 Braun cerca di andarsene da Susak e lo fa presentando un'istanza al Ministero dell'Interno, suffragata da tre certificati medici che attestano la necessità di cure termali per lui, la moglie Rosa e il figlio Alessandro. Il medico dichiara anche la razza: la moglie è detta ariana e di religione ortodossa, mentre per gli altri due si limita a dire che professano la religione ortodossa. Nella richiesta sono indicate località italiane come Chianciano e Montecatini. Circa il paese natale di Giuseppe Brancovic viene indicato inizialmente un comune ungherese, poi smentito a favore di Nova Ves, Lubiana (in realtà Nova Vas se si tratta della Slovenia).
Il parere del comando dei carabinieri e delle altre autorità fiumane è negativo, in quanto la famiglia è sottoposta ad attenta vigilanza e non è opportuno che si allontani liberamente dal territorio. Si dice poi che il capofamiglia deve produrre dichiarazione di soggiorno come ex jugoslavo, in quanto non può essere considerato italiano per l'avversione che manifesta verso l'Italia. Il commissario di P.S. rimarca che "l'individuo" è di razza ebraica.
Non passa molto tempo e scatta l'arresto. Giuseppe Braum Brankovic viene fermato il 24 novembre '42. L'11 marzo '43 si annota che è internato nel comune di Sant'Angelo in Vado. Nella stessa sede vengono internati anche i Pajalic con le due figlie minori, una di otto anni, l'altra di un anno. In Bad Arolsen è presente la lettera del ministero dell'Interno che dice Braum internato a Sant'Angelo in Vado a maggio '43.
Nel giugno '43, Rosa, moglie di Giuseppe, presenta un esposto in cui chiede la revoca dell'internamento per il marito Giuseppe, per la figlia Milena e per il genero Vladimiro. Qui Milena è chiamata Brankovic di Giuseppe.
La risposta è tagliente sia da parte del commissario di P.S. di Susak che del comando dei carabinieri di Trieste. "Parere contrario trattandosi di elementi contrari al nostro Paese non meritevoli di clemenza", si scrive da Trieste il 28 agosto '43. La polizia specifica che i Pajalic furono internati per i sentimenti anti-italiani e perché parenti dei Baum Brankovic. Questi sono spesso citati con l'appellativo "i noti".
Infine, un telegramma che da Pesaro vola fino a Fiume: l'internato Braum Brankovic si è allontanato da Sant'Angelo in Vado per ignota direzione, "si prega di fare ricerche per l'arresto". La data non è leggibile, la firma sì: Questore Lotti.
Dall’intervista a Michel (Giovanni) Abinum realizzata da USC Shoah Fondation Institute, Visual History Archive, veniamo a sapere che la fuga avviene nello stesso momento. Ad avvertire i Brankovic e gli Abinum sulla necessità di fuggire "in 15 minuti" è un cittadino comunista il quale procura anche le biciclette. Secondo la testimonianza, questo avverrebbe in ottobre '43, ma siamo certi che accada il 2 dicembre seguente, come scrive la polizia che si mette sulle tracce dei fuggiaschi. Ciò del resto si spiega con l'imminenza dell'arresto di tutti gli ebrei disposto con l'ordinanza n. 5 del 30 novembre '43 del ministro di Salò, Buffarini Guidi.
I fuggiaschi, come si può vedere nella dettagliata intervista di Michel Abinum - trascritta nella scheda del padre Ica Isacco Abinum - si dirigono verso Urbania, poi prendono il treno e si mettono nuovamente in cammino fino a raggiungere una postazione partigiana sulle montagne. Non possiamo dire che le due famiglie siano insieme anche qui. Michel ricorda che la coppia Brankovic era formata da un'austriaca e un ebreo, definito "molto simpatico", di professione ingegnere navale.
Dall'opera di Renata Broggini, La frontiera della speranza, sappiamo che una parte della famiglia Brancovic emigra in Svizzera e da JewsGen veniamo a conoscere il giorno esatto dell'arrivo nella Confederazione elvetica: il 28 febbraio '44. Si tratta di Josip, della moglie Ruza (Rosa) nata nel 1888 e del figlio Marco, nato il 4 marzo 1922. Sono detti tutti e tre jugoslavi.